Michele Cecchini | L’intervista

Michele Cecchini è nato a Lucca nel 1972. Insegna materie letterarie in una scuola superiore di Livorno, dove risiede. Dopo due volumi editi dalle Edizioni Erasmo, nel maggio 2019 è uscito il romanzo “Il cielo per ultimo”, edito da Bollati Boringhieri. Ha curato i testi di album musicali, trasmissioni radiofoniche, podcast, ha scritto un monologo teatrale, “Pizzicotti”, ma è il romanzo il suo strumento di espressione privilegiata: per aprile è prevista l’uscita di un nuovo lavoro, sempre per Bollati Boringhieri.

Il suo ultimo libro si intitola “Il cielo per ultimo”. Michele Cecchini può spiegarci la genesi di questo titolo?

“Il titolo è estrapolato da una filastrocca di Gianni Rodari dal titolo: “Il cielo è di tutti”, in particolare il passaggio in cui si dice: “Chi guarda il cielo per ultimo / Non lo trova meno splendente”. Il protagonista del mio romanzo è impegnato a cercare un poco di splendore, per sé e per le persone che lo circondano, ma lo fa senza agonismo o prevaricazioni, anzi mettendosi in fondo alla fila.”

Secondo lei perché gli adulti hanno così paura degli abbracci?

“Credo che con la crescita aumenti quello che consideriamo il nostro spazio intimo, privato, il perimetro nel quale ci sentiamo al sicuro e che tendiamo a proteggere. A volte manifestazioni di affetto dirette, istintive come gli abbracci rompono questo confine per cui possono creare imbarazzo.”

La pandemia ci ha tolto il contatto fisico e i bambini ne hanno tanto bisogno. Cosa consiglia per non far sentire loro troppo questa assenza?

“Il protagonista del mio libro ha un figlio che soffre di un grave disturbo del linguaggio, la disfasia di Wernicke. In pratica, è un bambino che parla una lingua tutta sua, fatta di parole incomprensibili, senza senso: tallo, sdilencato, sbirare, folmedina… Il protagonista è quindi costretto a cercare forme di comunicazione alternative alle parole. Forme che si rivelano magari meno complesse, ma forse più sincere, profonde e intense. Ad esempio, per sapere cosa hanno mangiato i bambini all’asilo, non chiede alla maestra: preferisce annusare la testolina di suo figlio.

Ecco, la pandemia ci pone di fronte a delle difficoltà, a delle limitazioni, per cui dobbiamo aggirare l’ostacolo, cercando alternative. In questo magari ci aiuta la fantasia dei bambini, che è sconfinata e ci salva.”

Michele Cecchini cos’è per lei la felicità?

“La felicità a mio avviso si nasconde nel quotidiano, nelle piccole cose apparentemente insignificanti, nei gesti banali cui non badiamo più per abitudine o perché presi da altro. Sono cose della cui importanza ci accorgiamo solo nel momento in cui corriamo il rischio di perderle. E la felicità individuale, per come la vedo io, non può prescindere da quella degli altri”.

Il personaggio in copertina sembra un adulto, custode dei suoi ragazzi, ma che in realtà non vuole crescere. Conferma questa mia tesi?

“No, darei un’altra lettura. Il mio personaggio è posto di fronte a prove molto impegnative e non ha alcuna intenzione di sottrarsi, anzi va fino in fondo. Non rinuncia alle visite settimanali in carcere alla madre di suo figlio, per esempio. E di fronte alla disabilità di quest’ultimo non si perde d’animo. Non si tratta nemmeno di eroismo: sono prove che non può eludere, che deve attraversare necessariamente, se vuole comunicare con il suo bambino. Però diciamo che il protagonista del mio libro non intende rinunciare al suo sguardo un po’ poetico, ingenuo e incantato. In questo sì, potremmo rintracciare dei tratti infantili.”

Michele Cecchini nel suo libro c’è qualcosa di autobiografico?

“Nel periodo in cui stavo scrivendo il libro sono diventato padre. Inevitabilmente questo ha inciso nella genesi del libro: la paternità è uno dei temi forti. Inoltre il protagonista vive nel quartiere di Livorno dove abito io, Ardenza Mare. Al di là di questi punti di tangenza, il romanzo percorre una strada propria. Del resto, tendo a non mettere elementi autobiografici in quello che scrivo, almeno non consapevolmente. Mi piace assumere e confrontarmi con altre voci.”

Le è mai accaduto di leggere un suo libro diventare spettatore di se stesso e durante la lettura sentirsi parte dei protagonisti della storia che narra?

“Rileggendo, magari a distanza di tempo dalla stesura, capita di trovare coincidenze, cortocircuiti o stravaganze. Sono tra i regali che fa la scrittura.

A volte però capitano cose ancora più assurde. Il mio libro è popolato da personaggi strampalati, eccentrici, ‘felliniani’, è stato detto. In particolare ne ho costruito uno molto strano, anche fisicamente. Ecco, un pomeriggio io per strada l’ho incontrato. Eravamo io e lui, da soli. Non era qualcuno che gli somigliava o lo ricordava. Era proprio lui. Aveva esattamente l’aspetto – strano, particolare – che a suo tempo avevo immaginato. Non ho potuto fare niente, salvo rimanere pietrificato. Del resto, se lo avessi avvicinato, cosa avrei potuto dirgli?”

Michele Cecchini che rapporto che con la scrittura? Scrive ogni giorno? Ha un posto per la scrittura?

“Sì, cerco di ritagliare un po’ di tempo per la scrittura ogni giorno. Se non scrivo, inevitabilmente elaboro e penso a quello che devo scrivere. Cosa che agevola molto il lavoro. A volte mi aiuto con delle lunghe passeggiate. Per scrivere, mi chiudo in biblioteca. Lì riesco ad isolarmi. Ecco, la solitudine è la compagna fedele della scrittura.”

Come difende l’ispirazione, il momento creativo dal questa società sorda, aggressiva e distruttiva?

“L’aggressività, la sordità e la distruttività possono essere esse stesse fonte di ispirazione, magari per elaborare alternative e suggerimenti di sopravvivenza. A fronte di questo, devo dire che nella vita ho conosciuto e conosco persone di enorme spessore, che mi hanno dato tanto in termini di affetto e di amicizia. Spesso mi sento in debito, avendo la sensazione di ricevere più di quanto sia capace di dare. Questo mi rassicura e mi fa sperare che tutto non sia così da buttare. E se invece è così da buttare, almeno so di avere accanto persone con cui condividere il dispiacere.”

Ogni libro è come un figlio. Michele Cecchini è soddisfatto di questo figlio o c’è qualcosa che non è riuscito a trasmettergli?

“È vero. È frutto di una lunga gestazione – anche più di nove mesi. Personalmente, anche a distanza di tempo, continua a darmi soddisfazioni. Ma i figli non ci appartengono, per cui anche i libri poi prendono la loro strada e fanno il loro percorso, staccandosi dal loro autore, per fortuna. E ogni percorso è diverso, lettore per lettore, in un incontro che avviene sempre a metà strada.”

Le capita mai di cambiare scenario della storia in corso d’opera?

“No, perché lo scenario nei miei romanzi è sempre funzionale alla storia, ne è parte integrante e non fa mai da sfondo. Diventa un elemento imprescindibile, quasi un personaggio esso stesso. Non riuscirei a pensare il protagonista di questo romanzo in un posto che non sia Ardenza Mare. Lui stesso dice: “Ardenza Mare è casa. E se un giorno il mio quartiere dovesse trasferirsi altrove, io me ne andrei via con lui”.”

 

Michele Cecchini è nato a Lucca nel 1972. Insegna materie letterarie in una scuola superiore di Livorno, dove risiede.Dopo due volumi editi dalle Edizioni Erasmo, nel maggio 2019 è uscito il romanzo “Il cielo per ultimo”, edito da Bollati Boringhieri.Ha curato i testi di album musicali, trasmissioni radiofoniche, podcast, ha scritto un monologo teatrale, “Pizzicotti”, ma è il romanzo il suo strumento di espressione privilegiata: per aprile è prevista l’uscita di un nuovo lavoro, sempre per Bollati Boringhieri.

 

 

Michele Cecchini è nato a Lucca nel 1972. Insegna materie letterarie in una scuola superiore di Livorno, dove risiede.Dopo due volumi editi dalle Edizioni Erasmo, nel maggio 2019 è uscito il romanzo “Il cielo per ultimo”, edito da Bollati Boringhieri.Ha curato i testi di album musicali, trasmissioni radiofoniche, podcast, ha scritto un monologo teatrale, “Pizzicotti”, ma è il romanzo il suo strumento di espressione privilegiata: per aprile è prevista l’uscita di un nuovo lavoro, sempre per Bollati Boringhieri.

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