La fine degli anni della crisi pandemica ha portato molti e importanti mutamenti nelle nostre vite, dall’approccio al risparmio alla quotidianità; se durante il Covid-19, però, spensieratezza e sorrisi sono stati offuscati da uno schiacciante grigiore, ad oggi riemerge la voglia di stare insieme, di condividere momenti e di viaggiare, forse nel desiderio di recuperare il tempo perduto. Un cambiamento che, senz’ombra di dubbio, ha avuto un forte impatto anche nel mondo dell’hôtellerie.
A raccontarlo è Paolo Bellè, Cluster General Manager per Hilton Rome Eur La Lama, Hilton Rome Airport e Hilton Garden Inn Rome Airport.
Come lo stesso spiega, la prima grande differenza è nel fatto che fino a poco tempo fa i viaggiatori potevano essere suddivisi principalmente in due tipi: il vacanziero e il così detto “commesso viaggiatore”; al contrario, ad oggi i tipi di cliente si sono moltiplicati. Da chi si sposta per fare sport a chi per un concerto, da chi viaggia per motivi di salute a chi per una crociera, ognuno cerca vacanze diverse e strutturate; di conseguenza l’albergo deve imparare a riadattarsi di volta in volta. Per gli alberghi stagionali è, invece, più semplice: ad esempio, al mare o in montagna è più probabile avere a che fare con un vacanziero; ma la situazione si complica negli alberghi delle città d’arte.
La particolarità è nel fatto che spesso un cliente può cambiare categoria nella stessa settimana. Ad esempio, potrebbe arrivare in hotel per presenziare ad un congresso: vorrà allora stare vicino alla location e avrà dei tempi stretti a causa delle varie riunioni che dovrà seguire; ma nel weekend potrebbe raggiungerlo la famiglia, portandolo così ad avere delle nuove esigenze: più spazio, una colazione completa, indicazioni precise per arrivare in centro… Tutte cose di cui prima non aveva bisogno. Per tale motivo, bisogna capire come riadattarsi per accontentare tutti. Questo è il vero valore aggiunto che, ad oggi, può trasformare un qualsiasi albergo nell’albergo d’eccellenza.
Per far in modo che le strutture da lui gestite rimangano flessibili davanti ai mutamenti del mercato, Bellè ha una strategia: chiede ai suoi lavoratori di bere un drink o mangiare qualcosa in strutture simili o migliori, affinché poi possano riportare le loro esperienze. L’operazione serve a capire cosa cercano clienti appartenenti a realtà diverse. Difatti, dato che spesso ci si interfaccia con uno stesso target, venire in contatto con mondi esterni spiazza. Per superare tale ostacolo, inoltre, prima del Covid Bellè era solito – e spera di poterlo rifare presto – invitare degli chef stellati nei suoi locali, dove a questi era richiesto di lavorare con il personale gestito da Paolo. L’esercizio era ottimo soprattutto per i ragazzi di sala, che in questo modo potevano migliorare la strutturazione del servizio.
È evidente come l’attenzione di Bellè per i dettagli sia importante; del resto, la sua passione lavorativa deriva da una lunga tradizione familiare iniziata dai suoi bisnonni calabresi, possessori di due alberghi. Sua nonna viveva in uno di questi e Paolo ricorda ancora con affetto che, quando la chiamava per chiederle dove fosse, lei fosse solita indicargli un numero di camera: non esistevano “il salotto” o “la cucina”, ma solo le cifre delle stanze in cui si trovava, proprio come se la casa fosse ancora un hotel.
Anche il padre lavorava in quest’ambito, ma si occupava di risorse umane: vedendolo sempre indaffarato fra calcolatrici e buste paga, Bellè pensava che il mondo dell’albergo – odiato nell’infanzia per questo motivo – finisse lì. Ma qualcosa ad attirarlo c’era: ogni sabato, accompagnando il papà a lavoro spiava i movimenti di importanti direttori, che gli sembravano toccare terra, proprio come degli ufo. Poi, l’impegno della giovinezza fatto di studio e lavoro lo ha portato a diventare uno di loro.
Importante in questo senso un soggiorno di tre anni a Birmingham, lontano dalla famiglia e da qualsiasi italiano, in cui ha appreso al meglio l’inglese; si è trattato inoltre di un periodo estremamente formativo sia dal punto di vista umano che professionale, perché gli ha permesso per la prima volta di vivere il mondo notturno degli hotel. In questa occasione si è reso conto di quanto un albergo non fosse solamente “striscioline e numeri” (come aveva creduto osservando il padre); al contrario, la reception poteva trasformarsi in una meravigliosa finestra sul mondo. L’albergo di notte è un mondo diverso, fantastico senza dubbio, dice Paolo, ma anche più impegnativo, perché quasi sempre richiede di gestire problemi: un cliente che non sta bene o che ha bisogno di qualcosa, un guasto, ma anche una sparatoria o una rapina. Ecco perché i turni notturni responsabilizzano fortemente chi li affronta.
Una volta tornato in Italia, Bellè è diventato night manager per Cavalieri, a Roma. Come lo stesso racconta, la sua più grande fortuna è stata quella di poter far carriera nella sua città, al contrario di molti suoi colleghi che sono stati costretti a girare molto ma che hanno sempre sognato di riabbracciare le proprie radici.
Secondo Paolo, per diventare un manager di successo oggi occorre, prima di tutto, essere estremante preparati: le competenze non sono le stesse di venti o trent’anni fa, e per raggiungere dei buoni livelli bisogna affiancare studio ed esperienza, come è usuale nel mondo anglosassone. Un’importante capacità che poi occorre avere è quella di saper capire le persone, che si tratti di gestire risorse umane o di comprendere i bisogni del cliente. Nel settore terziario e in particolare nel mondo dell’hotel, infatti, il vero scopo non è vendere camere, ma servizi.
Nei processi di selezione del personale, invece, l’imperativo è essere avveduti: quando ci si rapporta con un nuovo candidato non bisogna chiedersi che lavoro fa oggi, ma che lavoro potrà fare fra dieci anni, cercando dunque di intuire il suo potenziale.
Per Bellè, infine, è importantissimo tenere a mentre che ricoprire una carica manageriale in un hotel significa prima di tutto prestare molta attenzione ai numeri aziendali, soprattutto quando si gestiscono molti dipendenti.
Da non dimenticare mai l’importanza del bello, che Paolo considera una vera e propria divinità. Oltre le cose che ci piacciono perché viste con il sentimento o con gli occhi del ricordo, infatti, crede che “ciò che è bello è bello”, che si tratti di musica, di un odore o di un gesto. Al contrario, il lusso non è sempre legato al bello, e in questo periodo storico può diventare sfarzoso ed eccessivo.
Ecco perché Bellè, che ha chiaro questo principio, non fa che ricercare e riproporre il bello in ogni suo gesto. E i risultati non tardano ad arrivare, anche questi belli nel senso più alto del termine.