Nato nel 1971 a Bologna, vive sull’Appennino reggiano e lavora come ingegnere elettronico. Laureato in ingegneria elettronica, ha esordito nella narrativa nel 2006 con il thriller Lentamente prima di morire e ha in seguito dato alle stampe altri 10 romanzi e un’opera umoristica con Paolo Cevoli.Attivo anche al cinema come sceneggiatore, con A chi appartiene la notte ha vinto il Premio Scerbanenco 2018 battendo in finale Maurizio De Giovanni, Giorgia Lepore, Ilaria Tuti e Piergiorgio Pulixi.
Cosa vuole trasmettere emotivamente con l’immagine di copertina?
“Diciamo che quello che mi piace è che non si possa capire se il ragazzo sta cadendo o sta risalendo. C’è un senso di indeterminato che lascia tutto in sospeso e che rappresenta bene quello che il libro contiene.”
Ha qualche genere che predilige come stile di scrittura? Si sente più portato per un genere in particolare?
“Mi sono sempre interessato poco al genere delle storie che scrivo. Credo che la cosa importante sia la storia, non il genere. A meno che l’idea di partenza non sia lavorare sul genere in qualche modo. Il servizio migliore che si può fare a una storia è raccontarla come va raccontata, importa poco in quale casella, alla fine, qualcuno deciderà di infilarla. A maggior ragione oggi dove i generi sono molto ibridi e contaminati.”
Il lockdown è stato un periodo particolare a livello sociale. Come ha vissuto il lockdown? È riuscito a scrivere?
“L’ho vissuto con cautela, come chiunque avrebbe dovuto fare. Con preoccupazione, parecchia. Con incredulità per quello che vedevo e che vedo ancora. Uno specchio di società imbarazzante. Ho scritto molto poco e con grande fatica. Non so se per il momento – ma credo di sì – o per il romanzo che stavo scrivendo e che rappresentava una sfida molto impegnativa.”
Come difende il momento creativo, la fantasia, dalle distrazioni esterne?
“Cercando concentrazione e con il desiderio di scrivere. Scrivo perché ne ho davvero voglia, quindi è tutto molto più facile. Non è un atto di costrizione, ma di volontà. Poi capita di essere distratti, ma fa parte della vita, ci si riprende e si ricomincia. Se la storia ce l’hai, la ritrovi alla svelta.”
Quale rapporto ha con la scrittura? Scrive ogni giorno?
“Posso stare mesi senza scrivere una parola. Scrivo solo se ho una storia in testa e dopo una gestazione che dura parecchio tempo. Quando inizio e sono convinto, allora sì, scrivo tutti i giorni tranne il fine settimana. La costanza è un punto fondamentale, per me, del lavoro su una storia. Serve a non perdere la voce con cui la racconti, il ritmo, l’emozione.”
Lei ha un suo luogo della scrittura?
“Nello stesso posto in cui lavoro, al mio computer, in casa mia. Non sono mai riuscito, come fanno tanti, a scrivere ovunque. Ho bisogno di sentirmi a casa. Prendo appunti, invece, un po’ dove capita, quasi sempre sullo smartphone.”
Le piacerebbe che il suo libro diventasse un film?
“Risposta facile: sì. A chi non piacerebbe?”
Ha in mente una nuova storia?
“Sto finendo di scrivere proprio in questi giorni. Ma non dirò nemmeno una parola.”