È da poco uscito l’ultimo libro di Rita Dalla Chiesa, nota giornalista e conduttrice televisiva che con “Il mio valzer con papà”, edito da Rai libri, ci accompagna lungo la sua vita, per conoscere da vicino una figura chiave della nostra storia contemporanea: quella del padre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Rita è un carattere forte e a 13 anni decide di non voler più mettere i calzettoni: “cominciavo a capire che stavo crescendo e le regole della caserma mi stavano un po’ strette: dovevo buttarle giù. Mia madre propose a mio padre di prendermi dei collant colorati, come la maggior parte delle mie compagne. Già dovevo subire la divisa delle Marcelline, che sopportavo scarsamente…”. Da questa prima descrizione di sé, cominciamo a capire di più della donna, Rita Dalla Chiesa. E anche di suo padre.
Quanto è stata importante la figura del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa per sua figlia, lo scopriamo leggendo il racconto dei suoi ricordi, i momenti di intimità famigliare, le pennellate con cui Rita ci accompagna, attraverso il suo libro…
Un ritratto, un ricordo, uno sguardo nella vita e nel profilo umano di entrambi, che ci restituisce l’immagine di un rapporto padre-figlia molto profondo e ricco di affetto.
La figura paterna è sempre importante per la nostra psiche e per lo sviluppo dell’affettività futura di una figlia. Non a caso, il modello rappresentato dalla figura paterna è “Il Modello” che una ragazza, poi donna, ricercherà nelle relazioni con gli altri uomini. Se non un “sosia” del padre, la donna tende spesso ad andare alla ricerca di un uomo che vada a colmare i vuoti lasciati dall’assenza del genitore. Impresa difficile e molto delicata, perché non è facile incontrare persone che abbiano quelle stesse caratteristiche. Succede perché sono cambiati i tempi, la mentalità, il valore della donna nella testa e nell’immaginario di un uomo.
Dice di sé l’Autrice “Ho fatto dei gran casini nella mia vita sentimentale, perché ho sempre cercato questa figura negli uomini, andavo alla ricerca di protezione, di sicurezza, di valori, che poi ho trovato (almeno un po’) in un uomo più giovane di me. Ogni persona è diversa e non possiamo farne una colpa a qualcuno, per non essere come nostro padre. Lo stesso vale per gli uomini, che magari vivono col mito della madre… dalle lasagne, alla pazienza”, ammette Rita Dalla Chiesa.
Purtroppo, o per fortuna, nessuno/a può essere uguale a un’altra persona…
E, proprio con riferimento alla relazione che ha vissuto e che più la riportava alla figura paterna, la conduttrice ricorda anche che è stata “l’unica volta in cui sono stata lasciata, dopo 16 anni, da quella che era stata la persona per me più importante”. Strani scherzi della sorte!
La vita, a casa Dalla Chiesa, era scandita da momenti ristretti alla famiglia, ma anche dagli incontri, dai doveri sociali e di rappresentanza. A questo proposito, mentre ne parla, le viene in mente un’immagine precisa: “Eravamo andati a comprare un abito per me, con mio padre. Un giallo molto chiaro, colore che metto raramente perché sono convinta che mi stia male. C’era una festa al circolo ufficiali di Palermo e ricordo che mio padre mi invitò a ballare il “nostro” valzer: “Sul bel Danubio blu”. Qualcuno ci scattò una foto. Quella foto l’ho fatta incorniciare e la conservo in salotto, a rappresentare quello che per me è stato il rapporto con lui e il rapporto con la mia vita. Non è un ballo semplice, come non è stato semplice il mio rapporto con papà”. Quella foto ha voluta inserirla come copertina del volume in cui si racconta e racconta di lui. Di loro.
Come era il Generale Dalla Chiesa, Rita?
“Era un gran signore, che amava e rispettava molto le donne. Non ho mai sentito una parola sgradevole verso una donna da parte sua”.
La nostra conoscenza, da persone “terze”, deriva essenzialmente dal film su di lui girato da Giancarlo Giannini. Quanto è rispondente al “vero” Carlo Alberto Dalla Chiesa?
“Sicuramente (Giannini) è stato un grande interprete; tuttavia la storia è stata molto romanzata e, l’immagine di mia madre non è veritiera”.
Il libro ci racconta la vita, personale e professionale, l’impegno civile di quest’Uomo, che le generazioni più giovani conoscono solo di nome, mentre quelle un po’ più in là con gli anni, ne ricordano la storia, la dedizione, il senso di legalità e di giustizia.
“Il generale Dalla Chiesa deve essere conosciuto nelle scuole, va raccontato non solo come uomo, che solo io e chi lo ha conosciuto da vicino può raccontare, ma per le sue azioni, per ciò che ha fatto, affinché le persone tornassero a vivere in sicurezza, dopo le Brigate Rosse e la lotta alla mafia. Vedo che nei testi delle scuole non si parla di storia contemporanea e questo è un male. Va studiata, per non ricadere negli errori del passato”.
Come si vive a fianco di una persona così impegnata nel proprio lavoro? Un lavoro delicato, puntuale, impegnativo e pericoloso? Ci si sente a propria volta in pericolo, oppure si tende a non vedere o a non voler prendere in considerazione i rischi ai quali si è esposti?
Risponde, senza esitazione, facendo un balzo indietro a quei momenti, alle sensazioni provate ed ammettendo: “Da incosciente non ho mai avuto paura per me, da ragazza, mentre ne avevo per mio padre. Quando poi sono accaduti, effettivamente, episodi ai danni di mio padre, abbiamo avuto paura di vendette trasversali. Mia madre è morta d’infarto a 50 anni. Quando se n’è andata ho pensato che avevamo già sofferto tanto, invece poi abbiamo avuto paura con le Brigate Rosse. E su questo non può esistere perdono. Non perdono chi ha fatto del male non solo a nostro a padre, ma a tutta la nostra società. Anzi, non capisco come abbia fatto la figlia di Moro a perdonare”.
Il pericolo e “i nemici” del Generale Dalla Chiesa non erano però solo le Brigate Rosse, ma anche la mafia. Anzi, mentre le Brigate Rosse erano mosse da una sorta di ideale, i mafiosi, al contrario, sono privi di ideali.
L’assassinio non ha fermato e non ferma la ricerca di giustizia da parte di Rita e dei suoi fratelli: “Continuiamo a cercare la verità, non molleremo mai. Nando, che è straordinario, lo ha promesso a papà: ‘Non finisce qui’, quando lo abbiamo seppellito a Parma. Ha preso in mano la sua eredità”.
Il Generale era un uomo di grande intelligenza e sapeva che la sua famiglia poteva essere fatta oggetto di vendette, intimidazioni e minacce da parte di nemici nascosti, ma ben presenti nel tessuto sociale e criminale del Paese. Ricorda Rita, a questo proposito, “nel periodo più difficile, quando sapeva di essere nel mirino, ci spiegò di stare attenti. “Mi disse: se capisci che qualcuno ti segue – racconta Rita – vai direttamente alla polizia o ai carabinieri”.
Il “fiuto del poliziotto” non si ferma qui, però. Papà Dalla Chiesa era molto protettivo e attento a sua figlia. Altrettanta attenzione, quindi, dedicava a tenere sotto osservazione i possibili corteggiatori di Rita, come ad esempio l’amore platonico con Bruno Lauzi, quando Rita aveva 16 anni. Così, quando a Sanremo il cantante stava per presentare la sua canzone, dedicata appunto a Rita, proprio mentre era lì per andare in onda… il Generale spense la tv! Aveva intuito che c’era del tenero che stava nascendo tra la sua amatissima figlia e il giovanotto che stava per esibirsi. Sicché Rita, dovette aspettare di sentire la canzone alla radio, insieme con sua sorella! Questa gelosia, tuttavia, confessa lei stessa, è un legame forte, un tratto comune che ha con suo padre: “Da lui ho preso il carattere possessivo, geloso: quel lato di papà l’ho assorbito tutto”.
Il ritratto di famiglia, racconta della vita di cinque persone: il Generale, sua moglie Dora e i figli Rita, Nando e Maria Simona. Un tenerissimo ricordo, ma anche l’occasione per scrivere ciò che non è stato possibile dire quando le persone erano in vita. È quindi, anche un diario e un “dialogo” con chi non c’è più. Una vita fra caserma, rigidi protocolli, ribellioni, affetto familiare, timori e pericoli incombenti, il travaglio di un Paese “in guerra” verso forze oscure, il sentimento di una ragazza, poi donna, verso un uomo ammirato e amato, il racconto di un sentimento di gelosia verso Emanuela Setti Carraro. La magistrata e compagna del Generale, che è rimasta uccisa insieme a lui, 38 anni fa.
Qual è l’ultima immagine che Rita ha di suo padre?
È riflesso nello specchietto della Dyane: “l’ultima immagine di papà, dopo che avevamo avuto uno scontro. Lui lo rivedo riflesso nello specchietto. Quando ho rottamato la macchina, l’ho staccato: è qui con me a casa”.
Tanti ricordi, tanti pezzi di vita, di sensazioni, di figure che tornano alla mente quando si scrive di sé e del proprio passato. Del rapporto con la propria famiglia. Ci si misura con un andare avanti e indietro, come uno yo-yo, fra uno sguardo retrospettivo e le emozioni che invece sono ben presenti, ora, a dare “colore” a quelle immagini un po’ sbiadite.
Il 27 settembre, giorno del compleanno e centenario della nascita del Generale, su impulso di una petizione popolare, è stato stampato un francobollo in suo ricordo.
Il 2020 è stato quindi un anno speciale per Rita.
Ma quanto è stato difficile mettersi seduta e scrivere questo libro?
Il libro lo ha scritto praticamente di getto, a luglio dell’anno scorso, raccontando episodi e momenti molto personali. “Non è stato facile rimettere insieme tutto – dice Rita – perché quando scrivi, il giorno fila liscio, ma la notte si amplifica tutto e mi ritrovavo a spegnere la luce col magone. Mi rivivevo adolescente e ho fatto un grande lavoro su me stessa. Poi gli ultimi anni, da adulta, li ho rimessi insieme con maggiore consapevolezza. Frammenti di memoria: papà che costruiva il presepe e per fare il laghetto usava lo specchietto della borsa di mamma, mentre il nostro cane, un cocker, gli scodinzolava intorno. Ogni tanto ridevo da sola ripensando agli scherzi che facevamo con Nando a mia sorella Maria Simona. Scrivere mi ha fatto ricordare e anche capire quanto abbiamo avuto dalla vita, mi guardo indietro e so che l’abbiamo vissuta pienamente”.
Un ricordo, un racconto personale, ma anche un’opera di sostegno all’Arma dei Carabinieri. I proventi del libro, infatti, andranno all’ONAOMAC, l’associazione che sostiene gli orfani dei carabinieri.
“Ci sono persone che si sono sacrificate ed è il minimo che possa fare”, afferma Rita con fierezza. Il modo migliore per conoscere il Generale e l’Autrice stessa, comunque, resta la lettura del libro: dalla storia delle persone, dai valori che le animano, si comprende meglio anche il loro impegno per la comunità. Un impegno di cui fare tesoro, un impegno da vivere nella vita di ogni giorno.