Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984.Si è laureata in Filosofia presso l’Università di Bologna. Sue poesie e racconti sono apparsi su ‘ClanDestino’ e ‘Nuovi Argomenti’. Ha pubblicato la raccolta di poesie Il libro dei vent’anni (Edizioni della Meridiana, Firenze 2007), vincitrice del premio Alfonso Gatto per l’opera prima. Per Repley’s Film ha scritto Un’attrice e le sue donne su Anna Magnani (2008). Nel 2010 è uscito il suo romanzo di esordio, Acciaio edito da Rizzoli e con il quale si è classificata seconda al Premio Strega 2010, da questo libro è stato creato un film. Nel 2013 ha scritto il secondo romanzo, Marina Bellezza. Nel 2017, sempre con Rizzoli, pubblica il suo terzo romanzo, Da dove la vita è perfetta. Nel 2020 per Rizzoli pubblica il libro Un’amicizia.
Silvia Avallone, cosa vuole trasmettere con l’immagine di copertina in un misto tra abbraccio e ballo?
“Guardi in effetti è la copertina più bella che ho avuto di tutti i miei libri. Infatti sono molto grata a Francesca Leonetti che va a caccia di immagini. Con lei avevamo parlato del fatto che desideravo un quadro stavolta non più una fotografia.
Mi piaceva l’idea di un dipinto, però era molto difficile immaginare, come sempre, la copertina giusta.
E tutte queste preoccupazioni poi sono crollate quando ci siamo trovati di fronte a questo dipinto.
Questo ballo su uno scoglio sospeso sul mare mi ha da subito comunicato la nostalgia per un legame struggente che cercava di tenersi nonostante il tempo.
Mi ha comunicato la tenuta ma anche la fragilità di un’amicizia che come sappiamo deve lottare con il tempo.
Ogni rapporto deve dunque essere curato.
Non amo molto la frase raccogli ciò che semini in realtà raccogli ciò che curi.
Bisogna che anche il rapporto si evolva,per durare.”
Qual è il suo rapporto con la scrittura? Scrive ogni giorno?
“Cerco, mi interrogo ogni giorno su possibili storie. Sono curiosa. Scrivo anche molto a vuoto, o per lungo tempo non scrivo affatto e prendo solo appunti. Incontro persone, prendo l’auto e faccio i miei giri, leggo naturalmente, leggo moltissimo finché non è arrivato il momento per la nascita di una storia. C’è molto lavoro di preparazione proprio nella vita per me prima di arrivare a scrivere. E poi quando arriva il tempo della scrittura allora c’è un’immersione totale. Non faccio praticamente altro che scrivere quel preciso romanzo, quindi abito dentro quella storia e ogni momento che ho sottratto alla famiglia alle incombenze della vita lo dedico tutto alla scrittura.”
Silvia Avallone, lei ha un suo luogo della scrittura?
“Credo molto a questo discorso della stanza tutta per sé, che è un luogo che sempre dovrebbe esistere soprattutto perché alle donne viene indicata la strada per sé, culturalmente e anche concretamente.
Spesso quindi la stanza tutta per te è quel luogo della creatività che per me coincide con la scrittura. Tutti i miei romanzi per la gran parte li ho scritti a Bologna. Un luogo dove scrivere poi in realtà ce l’ho in Toscana e nel Biellese. Io sono fatta di questi tre luoghi. Però quasi tutti i romanzi sono nati e finiti a Bologna. A cominciare dal primo “Acciaio” che fu l’unico che ho scritto tutto in uno studentato, perché ancora vivevo in uno studentato e da allora per me Bologna è la città in cui inizio e finisco di scrivere romanzi.”
Riesce a difendere il momento creativo dalle distrazioni del mondo esterno?
“Assolutamente sì. Sono molto feroce nella difesa della scrittura. Per me la mattina è il momento in cui scrivo, non rileggo, scrivo le cose nuove, un pezzo una riflessione o un romanzo. E durante la mattina non faccio null’altro che sia scrivere.
E poi di solito invece il pomeriggio è il momento in cui sono più curiosa, e allora mi affaccio un po’ di domande sul mondo, vado a cercare le parole.”
Il suo ultimo libro si intitola “Un’amicizia”. Silvia Avallone, quanto è importante per lei l’amicizia per ricordarsi di rimanere coi piedi per terra e non lasciarsi prendere dal successo?
“Il mio gruppo di amici più stretti, quelli che sento a cui chiedo aiuto sono sempre gli stessi. E la mia migliore amica è quella di sempre, la compagna di banco della quarta ginnasio. Mi sento molto fortunata perché abbiamo attraversato insieme tante stagioni della vita, anche se a distanza, vivendo in città diverse ci siamo sempre presi cura di questo dialogo che tuttora per me è la bussola più importante che possiedo.
Il bello dell’amicizia è che non ci si giudica, non ci si appartiene, ci si accompagna ad affrontare i problemi e le criticità della vita.
Credo che si possa insegnare anche a ripensare di i rapporti di coppia, i rapporti famigliari proprio alla luce di questa accettazione, di questo sacro rispetto per la libertà e la felicità altrui.”
Qual è il suo senso della vita?
“È una domanda naturalmente enorme.
Sono molto curiosa non ho delle soluzioni, anzi non ho delle definizioni che mi guidano o delle domande. Infatti per me la scrittura è proprio un modo per interrogare la vita, la letteratura è il mio mondo. Sia leggendo che scrivendo cerco di attraversare questa esperienza, che è la vita, e cercare il più possibile di trovare le parole giuste per comprenderla pur sapendo che il mistero ne è parte integrante.
Penso che rimarremo avvolti dal mistero.”
Silvia Avallone, le piacerebbe che il suo romanzo diventasse un film positivo sull’amicizia?
Dopo l’esperienza di Acciaio del 2012 che è diventato un film.
“Senza dubbio ne sarei felice.
Penso che la letteratura debba sempre creare nuove armi, non tranquillizzare, più che dare la letteratura deve cercare di complicare, poi raccontare significa ampliare
la complessità e rendere tutto meno semplice ma proprio perché è più complesso o anche in qualche modo più autentico.
Quindi mi piacerebbe un film, che come il libro possa aiutare le persone a riflettere sulle proprie amicizie, sui propri legami, a fare i conti con la propria esperienza.”
Può un amico essere il sostituto di un genitore col quale si ha un rapporto malato?
“Lo scrittore DeLillo in un suo romanzo si oppose alle famiglie, e ai legami con le madri in particolar modo, perché l’amicizia ti dà la possibilità di capire chi sei, al di là dell’educazione che ricevi. Però siamo anche persone che devono nascere una seconda volta, specialmente durante l’adolescenza. E l’amico è proprio questo, colui che arriva ci prende e ci porta via, ci porta in quell’altrove dove noi desideriamo costruire il nostro futuro i nostri sogni. Per me l’amicizia è un valore molto grande, proprio come laboratorio di libertà. E come sempre i genitori ci danno in eredità anche i loro vuoti, i loro errori, i problemi anche generazionali.”
Silvia Avallone, quanto ha messo di se stessa nel romanzo, visto che una delle protagoniste vuole fare la scrittrice?
“Parto sempre da domande che mi stanno molto a cuore. Però la bellezza di scrivere è quella di trasfigurare delle domande in quelle storie che sono invece immaginarie.
Quindi i miei personaggi non sono me. Anzi mi piace regalare dei caratteri di cui non ho bisogno, di storie familiari che non ho, anche delle cose che non ho fatto o delle cose che ho perduto. Per me scrivere significa cercare risarcimenti per ogni immaginazione. Detto questo sono sempre io, quindi i miei occhi, a regalare dignità alla mia passione per la scrittura per la letteratura.”
Per quanto riguarda l’ambientazione del testo quanto sono state importanti le città della sua vita?
“Sono state fondamentali perché per me i luoghi sono come dei genitori: ti educano ti crescono sono delle radici da cui è difficile liberarsi.
Amo molto raccontare la provincia perché sono una donna di provincia, dall’altra parte mi piace raccontare Bologna come la Città Universitaria da fuori sede, che sono stata che continuerò a essere, ho assunto sempre questo sguardo di quella che viene da fuori, di quella che ha compiuto un percorso. Torno in Toscana dove sono cresciuta e in parte torno a Biella dove sono nata, perché appunto ogni luogo conserva qualcosa di fondamentale per la mia identità.”
Ho letto che lei non ha un buon rapporto coi social, rimanendo spiazzata dal modo di comunicare che impongono. Silvia Avallone, come difende la sua privacy tra realtà e realtà virtuale?
“Allora in realtà ho avuto paura in generale dei social nella misura in cui vi è stata un vera un’esibizione di felicità, sembra esserci una competizione, nei social c’è una gara dell’apparenza, laddove invece sia la letteratura che l’esperienza mi dicono che la vita non è fatta solo di pieni, ma è fatta di molti vuoti e di questi vuoti di queste esperienze di sofferenza di perdita, bisogna avere cura profonda e rispetto. Da queste esperienze dai vuoti nascono i desideri, nascono i cambiamenti. I social sono una realtà piatta, bidimensionale, e non mi ha convinto. Ho sempre pensato che la letteratura sia assolutamente fondamentale per la vita, perché la letteratura appunto racconta ciò che stiamo come storie, non come immagini. Non dobbiamo essere giudicati da una esteriorità. Dobbiamo essere ascoltati dall’interno. Ciò che accade ogni volta che si apre un libro si ascolta l’anima di un personaggio. Quindi questo libro nasce proprio dalla volontà così di opporre letteratura e social. Facendo questo ho iniziato un percorso che mi ha fatto capire come invece i social possano essere usati come aiuto per le nostre passioni, al servizio della realtà anche della letteratura.
I social si sono dimostrati fondamentali per il mio dialogo con i lettori. Per il mio dialogo con le librerie, che non potevo più visitare di persona ma con cui potevo comunque avere un dialogo online, e i social diventano davvero un luogo a servizio di noi come persone. E noi li usiamo non per diventare personaggi e per mentire, ma per raccontarci come persone e per dialogare davvero. fare rete e fare comunità. Ho quindi scoperto che sono uno strumento ordinario.”