Ho iniziato a scrivere sette libri fa. Il mio primo, che adesso considero noioso, parlava della diagnosi e della cura dell’eiaculazione precoce. Ero alle prime armi e avevo paura di esserci, di abitare le pagine del mio libro. Così ha prevalso la sessuologa e non la donna. Mi sentivo più al sicuro. Libro dopo libro ho capito che per arrivare al cuore dei lettori e per riparare il mio mentre riparavo il loro, dovevo esserci. Non potevo esimermi dal sentire, dall’emozionarmi o arrabbiarmi, dal tenere la mia penna sempre strettamente connessa al mio cuore.
Gli altri libri sono stati romanzi, ho ammantato la clinica – che c’è sempre stata e c’è ancora in ogni pagina – e l’ho diluita nelle storie di vita dei protagonisti dei miei libri. Amanti, donne dal cuore infranto, mogli ingrigite e mariti adulteri. Padri, madri e figli. Stagioni della vita e del cuore.
In “Un clandestino a bordo”, invece, ho versato tutte le mie lacrime e le ho messe in corsivo.
È un libro che ha deciso di nascere, senza chiedermi il permesso. È la storia del tumore al cervello di mio padre durata undici mesi, ma parla anche di mare e di Sicilia, di terapia di coppia e di navigazione, e di tanto altro.
È un libro che indica il cammino per far pace con il proprio dolore e le proprie perdite. Nonostante sia stato un libro orfano di prestazioni de visu, ho ricevuto tantissime e-mail da parte dei lettori che mi hanno raccontato il loro dolore e mi hanno ringraziata per il mio e per le lacrime che non pensavano di avere.
“L’aggiustarice di cuori. Le parole che riparano” è il mio settimo figlio di carta che mi ha emozionata come se fosse stato il primo.
È nato pian piano dentro di me, riflessione dopo riflessione, paziente dopo paziente. Contiene storie di vita e di coppie riparate. I miei pazienti e me stessa al lavoro con loro e per loro.
Siamo nell’era social e molte persone credono di aver un amicizia, un amore solo nel social senza uscire mai nella realtà.
Cosa ne pensa di questa realtà?
“Viviamo in un’epoca di profonda analfabetizzazione emotiva. L’amore con la sua profondità spaventa, anzi atterrisce. Per questo motivo con il Dr. Fulvio Cerutti e La Stampa abbiamo dato vita alla mia rubrica sull’amore: “Amore non è solo amare”. Luogo di scrittura e di incontro con i lettori. Un progetto editoriale inedito e controcorrente. Parlare d’amore oggi è decisamente trasgressivo.
L’amore ha bisogno di reciprocità e di relata, di pelle, di sensi e di scambio, se rimane a lungo intrappolato dentro il monitor di un cellulare o computer prima o poi muore.
Le chat sono il luogo dell’altrove, luoghi altri dal quotidiano dove il narcisismo e l’egocentrismo regna sovrano. Vige il desiderio di essere desiderati dalla pulsione dell’altro, anche se l’altro non c’è o è uno sconosciuto.
Questa nuova realtà-non realtà può anche diventare il trampolino di lancio per un amore nascente, ma poi ha bisogno di altro, tanto altro, altrimenti diventa la sua brutta copia. “
Il bacio, venendo prima, è più importante del sesso?
“Non si tratta di prima o dopo, ma di intimità e profondità del sentire. Il bacio è molto più intimo di un rapporto sessuale, dovrebbe essere sempre presente: prima, durante e dopo. Sempre. Le coppie che smettono di baciarsi hanno già intrapreso il cammino, spesso senza ritorno, del processo separativo. Tra l’altro, quando un partner smette di baciare il coniuge, solitamente inizia a baciarne un altro. “
Secondo Lei quando deve finire una relazione a distanza? Non si può stare sempre lontani.
“Ci sono alcuni partner, le coppie Lat, acronimo di Living apart together, che decidono di vivere vicini di cuore e distanti di casa. Scelgono, apparentemente per motivi concreti, ma in realtà ci sono sempre motivazioni profonde, inconsce e sconosciute anche a loro stessi, di vivere in case o città diverse.
A volte la distanza diventa un antidoto alla noia, al quotidiano che tutto usura, al calo del desiderio e al tradimento, ma al tempo stesso protegge da un eccesso di intimità.
Tra la distanza e un eccesso di vicinanza c’è una lontananza che a me piace molto ed è “la giusta distanza dal mondo dell’altro”.
Non si tratta di case o città, ma di quella danza fatta di avvicinamento e allontanamento che fa bene alla coppia e al cuore.”
Quanto è cambiata l’attesa nell’amore social?
“È cambiato il corteggiamento. Non c’è più quell’alternanza di incontri e di attesa, di cardiopalmo e di rituali amorosi pre-incontro, ma c’è una sorta di compulsione e di ingorgo di chat. E se un potenziale partner non risponde più o subito, si passa al secondo e poi al terzo, senza sentirne il profumo prima e il sapore dopo. L’importante è che sia online, regalando l’illusoria sensazione di presenza.”
Quali sono le parole che possiamo regalare agli altri per farli stare meglio? E quali quelle per noi stessi?
“Abbiamo tutti bisogno d’amore e di parole. I pazienti che vedo in studio sono affamati di parole che riparano e di un ascolto fertile e autentico. La stanza diventa quel luogo sacro fatto di spazio-tempo tutto per loro, ricco di parole e ascolto.
Ogni parola che pesiamo e pensiamo per quella persona e non per le altre diventa un dono, un abbraccio. In quelle parole ci si può riposare e anche abitare.
Non credo che ci siano parole uguali per tutti, ma parole uniche come le persone.
Per noi stessi, invece, dovremmo essere più clementi, meno rigidi e giudicanti. A volte parole gratificanti e incoraggianti diventano il motore per un sentire e un fare nuovo, migliore, più generoso.”
Come curare il benessere del cuore in questa realtà caotica?
“Anche il cuore si ammala. E oggi è molto più facile avere un cuore affaticato o inquinato da quello che viviamo. Quello che dovremmo evitare di fare è ignorarlo. Tacitarlo se si lamenta pur di essere ascoltato. E quando soffre troppo chiedergli come sta. Di cosa ha bisogno o di chi. Evitare che il nostro cuore vada nella Siberia o palude dei sentimenti, perché quei luoghi sono per lui, e per noi, letali.”
Quali sono le parole più appropriate, per non farsi del male, per la fine di un amore?
“In realtà quando finisce un amore, c’è sempre un partner più sofferente e uno più consapevole che magari ha smesso di amare già da tempo o ama già altrove.
Penso che la fine di un amore sia un lutto senza bara, e come tale andrebbe trattato, con cura e rispetto. Senza parole dure o lapidarie, ma con profondo rispetto e gratitudine per quell’amore, anche se conclusosi, ci ha lasciato.”
Come approcciarsi verbalmente a chi ha subito un lutto?
“Non sempre è indispensabile parlare. In situazioni così drammatiche, quando il cuore è ferito, si può anche avere l’opportunità – soprattutto in situazioni di profonda intimità – di stare in silenzio. Quel silenzio pieno, gentile, fertile, parlante.
Credo che il regalo più grande che si possa fare a chi ha subito un lutto è quello di non utilizzare parole abusate e banali. Uguali per tutti. Svuotate dal loro significato più profondo e unico; uniche come dovrebbero essere per l’unicità di chi ha perso qualcuno e un pezzetto di sé insieme all’altro.”
Quale rapporto ha con la scrittura?
“La scrittura è la mia malattia e cura al tempo stesso. Scrivo sempre, in ogni luogo, ai semafori. Quando sono felice, triste, preoccupata. Per fare ordine nel disordine emotivo. Per lenire le mancanze. Per riscrivere un mondo che mi piace poco con parole nuove. Dopo le sedute con i pazienti, soprattutto.
Il paziente – o la coppia come paziente – mi lascia le sue emozioni e parole, le sue ansie e angosce più profonde e intime, e i sintomi che da parole mute si fanno dialogo tra loro e me: tempesta di brutalità e silenzi.
Ogni parola diventa un seme che germoglia dentro di me e diventa scrittura. E per questo sono loro molto grata.
Penso di essere una privilegiata, svolgo un lavoro meraviglioso.”
Qual è la sua difesa dal mondo esterno per proteggere l’ispirazione e il momento creativo?
“Non mi difendo, lo vivo. Sono curiosa, introspettiva, analitica, forse fin troppo. Diciamo però che faccio entrare dentro di me solo quello che ritengo interessante, non più il superfluo, l’inutile, il cicaleccio delle notifiche e dei social, che guardo esclusivamente a inizio e fine giornata e basta.
Se non ci fosse il mio mondo esterno, quello che ho scelto come mondo esterno, non ci sarebbero i riverberi e i turbamenti emotivi di quello interno.
Quando ho bisogno di scrivere mi ascolto e lo faccio sempre, dando alla scrittura la priorità che merita. Per me la scrittura è una pausa dalla vita che mi regala vita, ogni volta.”