Né l’autorialità di Roberto Saviano, né l’attualità del tema migranti avrebbero bisogno di particolari presentazioni o introduzioni: eppure vale la pena spendere ben più di qualche riga sul nuovo volume a firma dello scrittore e giornalista partenopeo, In mare non esistono taxi. Rilasciato al pubblico lo scorso maggio, il libro è un vero e proprio pugno nello stomaco; e riesce a esserlo nonostante la difficoltà più beffarda di tutte. Ossia che della tragedia dei flussi migratori sia oggi saturo tutto l’animo mediatico e non. Dopo anni di funerali di massa, di bambini privi di vita e spiaggiati come cetacei, il cuore dell’opinione pubblica si è indurito, come a voler evitare il confronto con un trauma collettivo che, oltre alla tristezza, porta il senso di colpa. E che, quasi come una forma di stress post-traumatico collettivo, ha poi condotto ai fenomeni politici di intolleranza che oggi sembrano perfino prevalere sul buon senso.
Era difficile, appunto, ma In mare non esistono taxi riesce a colpire ancora una volta, a coinvolgere un nervo rimasto finora intoccato dal bombardamento mediatico e da tutto ciò che ne è conseguito. E lo fa in primo luogo fornendo al pubblico quel confronto che oggi, in clima di guerra tra vicendevoli accuse di fake news, spesso manca a fare da supporto all’affermazione: le fotografie. Il libro di Saviano è costellato di immagini tecnicamente stupende e visivamente orribili. Carovane di uomini disidratati nel deserto, zattere che sperano di arrivare dall’altra parte del mare, vittime di stupri e torture. L’antifona la conosciamo tutti, per carità – ma a mancare, spesso, è proprio quel genere di cornice visiva, qui fruibile come un quadro e non nei pochi e confusi secondi di un servizio del telegiornale.
L’accento sulle foto è certamente voluto: In mare non esistono taxi include, per buona parte della sua stesura, interviste agli autori delle immagini. Fotoreporter coraggiosi che attraversano il deserto per documentare la tremenda traversata migrante, come il concittadino di Saviano, Giulio Piscitelli. O chi, ad esempio, segue le stesse vicende dall’altro capo del mare, in Spagna e in Grecia. Ed è così che si realizza la potenza – mai davvero dimenticata ma spesso relegata all’ovvietà – del testo associato all’immagine, il significante al significato, l’affermazione alla dimostrazione.
Eppure sarebbe un errore descrivere il volume di Saviano facendo unicamente riferimento alla prevalenza dell’immagine. Il testo è il vero punto di attenzione dell’autore, passando per le citate interviste e volendo arrivare, infine, alla reale morale di fondo: il rapporto dell’italiano, oggi, con il flusso migratorio. Il “negazionismo”, per così dire, che oggi impedisce di vedere – e soprattutto voler vedere – lucidamente cosa stia accadendo e in che misura; quel negazionismo esaltato dai politici che esigono il consenso con gloriose adunate a tappe in giro per il Bel Paese, parlando alla pancia e mai alla testa dei suoi cittadini. Saviano intende, e riesce, a rispondere punto per punto a tutte le falsità, quelle “autoconvinzioni” cercate oggi dal populismo ignorante per dormire meglio la notte. Una sorta di vademecum che riporta alla realtà.
Arrivando infine al punto ultimo, che forse è il più “savianesco” nucleo di inchiesta di In mare non esistono taxi: nel 2008 l’Italia firmò un trattato di amicizia e cooperazione con il defunto dittatore Gheddafi, nel quale era incluso l’affidamento a quest’ultimo della responsabilità di pattugliare le coste libiche e, quindi, di limitare i flussi migratori verso il nostro Paese prima che i migranti prendessero il mare. Il tutto con soldi italiani, ammontanti a circa cinque miliardi di euro. Soldi spesi per la costruzione di quelli che oggi sono noti come i “lager libici”, dove migliaia di disperati da tutta l’Africa vedono marcire definitivamente il proprio sogno di una vita migliore, fortemente cercato con
costi insostenibili e miglia pesantissime sotto il sole del deserto. Qualcuno infine sopravvive, riesce ad arrivare in Europa e realizzare quel sogno – ma non senza che qualcos’altro marcisca, dentro di lui.