Il terrazzino dei gerani timidi

Quasi sempre erano gerani. Un colore spento, si sarebbe detto quasi lilla, il fiore moscio, pallido opaco, insulso; non attirava nemmeno una vespa.

Queste le prime quattro righe de’ Il terrazzino dei gerani timidi, opera di Anna Marchesini pubblicata nel 2011.

Bene corrisponde a quanto ci si aspetta da un incipit: il non stupire o il non voler, ed a forza, stravolgere, se mai suggerire, quasi invitare con un gesto della parola, discreto, per creare la giusta atmosfera.

Il finale si conclude in modo analogo con un movimento che sembra chiudere in un cerchio, immaginario, i ricordi dell’autrice.

Un’infanzia affacciata sul mondo da un terrazzino che sovrasta il giardino incolto di una vecchia casa disabitata, chiosa Maria Luisa Agnese per Il Corriere della Sera nella quarta di copertina, ma anche, continua la giornalista, una cognizione del dolore intensamente umana.

Sgomento e consapevolezza si congiungono in modo infelicemente acuto, perché i bambini prima sanno, poi capiscono. Anche per Anna è così.

La sua timidezza, la malcelata ritrosia indotta in forme di diligente ubbidienza, la delicatezza dell’animo ingabbiata in un realistico disincanto, diventano pungente consapevolezza, capace di indurre in una

bimba risposte silenti davanti all’evasivo questionare del mondo (degli adulti).

Bene lo dice la Marchesini, circa a metà del libro: bisogna prestare attenzione allo spavento dei bambini, alla paura che può fare loro la vita, trattarla con cura, si dice che la paura può far crescere rachitico il cuore che pure, per respirare, pur di pulsare e seguitare a vivere, può accettare di gonfiarsi per esempio di dolore, se questo è tutto quello che ha.

Il testo della Marchesini ha incontrato favori almeno quanto dissensi. La prosa raffinata, in certi punti distillata in un lessico elegante, quasi inciso, l’uso della punteggiatura talvolta a mo’ di pennellata, soprattutto una pensosità triste e sotterranea rendono il testo indubbiamente originale.

La scrittrice intinge nel retrogusto dolceamaro dell’animarsi delle cose, sfida la parola, la tornisce, la domina, smonta e rimonta dentro immagini ardite, come quella della piccola piuma color di perla che atterra sculettando sulla setola di uno spazzolone.

Non viene meno l’attenzione, millimetrica, ai particolari, che impongono alle cose intenzioni, tutto sommato attribuiscono loro un’anima nonostante la palese insignificanza dell’essere semplici oggetti.

E’ il caso del corridoio che si rende involontario e incolpevole, (lui) ordinatamente schierato lungo i gradini imbacuccati dalla guida rossa.

E’ il libro anche un delicatissimo monologo interiore che crea, già lo insegnava Baudelaire, una complicità fra il lettore e la bambina protagonista del suo inimitabile racconto.

La vita scoppia dentro un’esistenza minuscola, rimbomba dentro voci ed immagini, cose non percepibili per l’autrice nel tramestio quotidiano che scorre, invece, col tempo dell’orologio.

Sono tutte, però, dentro la vita di Anna raggiunte da un silenzio che sa farsi inimitabile canto: “da qualche parte avevo letto che tutto è armonia se solo riusciamo a sentirla, così rimasi in ascolto ed ebbi cura di muovermi, senza spostarlo. Il silenzio”.

Riferimenti bibliografici

A.Marchesini, Il terrazzino dei gerani timidi, Bur Rizzoli, Milano, 2011

B.Traversetti, Incipit. Le tecniche dell’esordio nel romanzo europeo, Nuova ERI, Torino, 1988

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