Anni contraddistinti dalla paura, mentre una generazione restava segnata per sempre dagli scontri di piazza, da rapine ed omicidi. Tra inchiesta e indagine psicologica, giornalismo investigativo e ricostruzione di un’epoca, Piero A. Corsini racconta “I terroristi della porta accanto. Storie del terrorismo nero: Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, dalla militanza nei NAR all’ergastolo per la strage di Bologna”, in una ristampa rivista e aggiornata. Un pezzo della storia del nostro paese, di un passato decisamente recente eppure percepito come lontanissimo, che l’autore ripercorre con certosina precisione attraverso l’indagine rigorosa e la verifica dei documenti processuali che ripropongono tutti i dubbi suscitati dalla sentenza per l’eccidio di Bologna e gli interrogativi ancora irrisolti.
La storia di questo libro parte da lontano, perché il lavoro sulle vicende di Fioravanti e Mambro ha avuto inizio già nel 1988 quando, giovane redattore a Mixer (il programma di Giovanni Minoli) Corsini propose un Faccia a faccia con loro: «All’epoca la destra – eversiva o meno – non aveva praticamente diritto di parola in televisione, ma Minoli, uomo libero, capì subito il senso della mia proposta. Raccontare, senza pregiudizi, come fosse stato possibile che due ragazzi di buona famiglia, né migliori né peggiori di tanti altri, si fossero avvitati in una spirale di violenza e morte. Un modo per leggere gli anni di piombo, a partire dai protagonisti». Da quei primi “Faccia a faccia”, il lavoro è proseguito prima con un’inchiesta sulla strage di Bologna, poi con il libro. La prima edizione è del 1999, la pubblicò Tullio Pironti: «Ricominciai da capo, con lunghissime ore trascorse in carcere ad intervistare entrambi, nonché con decine di interviste parallele ad altri protagonisti del periodo (familiari, magistrati, giornalisti) e con lo studio approfondito di verbali, interrogatori, perizie, sentenze, articoli di giornale. Poi, nel 2002, sempre con Minoli, abbiamo iniziato l’avventura di La Storia siamo noi e, anche con quel programma, inevitabilmente, siamo tornati sulla strage di Bologna. E dalle nuove scoperte che avevamo fatto, nel 2007, è nata la seconda edizione». Nel gennaio 2020, concluso il processo di primo grado contro Cavallini (il sedicesimo dell’iter giudiziario sulla strage), Corsini ha proposto all’editore, Newton Compton, di aggiornare il volume con le novità sull’inchiesta e con nuove interviste: «Insomma, sono trentadue anni di lavoro. Guardandomi indietro, devo dire che è stato un viaggio professionale e umano molto intenso. Faticoso, entusiasmante, a volte frustrante, sempre psicologicamente complesso. Il tasto che mi sono trovato a premere più spesso sulla tastiera, nello scrivere questo libro, è stato il punto interrogativo».
È una delle lezioni che Corsini dichiara di aver imparato da Minoli: «Il giornalismo dei punti interrogativi è quello che stimola la coscienza critica del lettore o dello spettatore, perché è quello che mette in fila i fatti e, soltanto seguendo la logica e il buon senso, pone delle domande. È una sfida lanciata al lettore. Ciò che ti sto raccontando ti riguarda, io posso fornirti delle informazioni – e il mio compito è accertarmi che siano corrette, equilibrate, imparziali – ma sta a te farti l’opinione ultima. È il tuo diritto, ma anche il tuo dovere di cittadino, perché questa storia è anche la tua storia, nel senso che è la storia del tuo Paese, delle tante, troppe vittime innocenti di quegli anni. Ha detto Andrea Casalegno, figlio di Carlo, vice-direttore di La Stampa, ucciso dalle Br: “Si può essere ex-terroristi, ma non si può essere ex-assassini”». È ciò che l’autore ha tenuto sempre in mente durante le sue ricerche, che spesso lo hanno portato a tu per tu con gli stragisti: «Quando intervisti per decine di ore degli ex-terroristi, devi sempre ricordarti che hanno ucciso, e ogni omicidio significa dolore, disperazione, un’assenza, un vuoto che non si potrà mai più riempire. Qualcuno sostiene che gli assassini (non solo i terroristi) non dovrebbero aver diritto di parola in televisione o sui libri. A me sembra una sciocchezza colossale: fatte le dovute proporzioni, pensiamo a quanto siano state importanti le testimonianze degli ex-nazisti per la comprensione della Shoah. Ma le parole di un assassino hanno sempre un peso morale diverso dalle parole di una vittima, o di un suo familiare. Sono altro. Sono, però, importanti per cercare di capire». Secondo Corsini, per qualche anno, ha avuto grande fortuna editoriale la memorialistica degli ex-terroristi, «specie di sinistra. Non credo di aver mai letto una sola riga di rammarico per le vittime. Una volta andai da un importante terrorista rosso, per chiedergli un’intervista per La Storia siamo noi, per una puntata su un giudice che aveva ucciso. Mi disse: “Vi parlo di tutta la mia esperienza, ma non intendo rispondere sugli omicidi”. Lo ringraziai e me ne andai. Fioravanti e Mambro, da subito, hanno scelto una strada diversa: sin dai primi interrogatori, appena arrestati, hanno sempre cercato di spiegare – ammesso che fossero spiegabili – le ragioni che li avevano portati ad uccidere. Non sto dicendo, naturalmente, che questo li renda “migliori” dei loro omologhi a sinistra, o di tanti loro complici a destra. Sto solo dicendo che è anche partendo da questo presupposto che ho intrapreso questo viaggio, perché altrimenti non mi sarebbe stato possibile. E sempre, in questi trentadue anni, ho pensato alle loro vittime, a chi è rimasto senza un figlio, un padre, un marito. E nello scrivere questo libro, sin dalla prima riga, mi sono chiesto: “Che cosa ne penserebbe il parente di una loro vittima?”».
Il libro si rivolge, idealmente, «ad un lettore come me. Cioè a qualcuno che, interessandosi agli anni di piombo, vi si avvicini con animo laico, libero. Quando sono arrivato al ginnasio, con i miei compagni di scuola abbiamo trovato le macerie di quel che l’impegno politico aveva significato per i nostri fratelli maggiori: sangue, violenza, morti. Chi, come me, è cresciuto in una grande città, ha ancora nelle orecchie il suono delle sirene che squarciavano l’aria. Da quello sgomento è nata la mia curiosità; dalla mancanza di ideologie, la possibilità di affrontare una “storia maledetta” dal punto di vista psicologico». Per l’autore, «L’’approccio ideologico ha viziato gran parte della storiografia, anche recente. Quando, con La Storia siamo noi, abbiamo iniziato a raccontare le storie delle vittime del terrorismo – e in dieci anni ne abbiamo ricordate quasi un centinaio – le abbiamo affidate a degli autori tra i venti e i trent’anni, cioè a dei giovani che, in quegli anni, non erano neanche nati. Il loro sguardo è stato ancora più “pulito” del nostro, così come il loro modo di raccontare era in sintonia con i tempi e i ritmi della contemporaneità. Ecco, se devo pensare a un lettore ideale di “I terroristi della porta accanto”, penso a dei giovani nati nel terzo millennio, oppure a quanti, tra i loro genitori, abbiano voglia di tornare indietro e capire le ragioni di quello sgomento che ancora ci appartiene».
Nel futuro di Piero Corsini, c’è ancora tanto spazio per la passione: «Ho un senso di enorme libertà: anche se non scriverò mai più una riga, so perfettamente che il mondo continuerà a girare lo stesso. L’umanità non si aspetta da me alcun capolavoro, né un’opera immortale. D’altra parte, ho pubblicato il mio primo articolo a 15 anni, quindi credo di dover ormai accettare che scrivere è per me molto importante. Mi aiuta a ordinare le idee, mi piace la costruzione della frase, la musicalità delle parole; poi sono fortunato, perché non conosco l’ansia della pagina bianca, scrivo di getto e raramente mi trovo a correggere quello che ho scritto. È così da quando andavo a scuola e c’era il compito in classe di italiano: immagino che il merito di questo vada ugualmente ripartito tra le mie insegnanti e i miei genitori, che mi hanno trasmesso l’amore per la lettura onnivora, dai grandi classici ai gialli da aeroporto. Da qui a essere uno scrittore, però, ci passa un oceano. Quindi, dal punto di vista della scrittura, non ho progetti futuri, tranne l’inevitabile romanzo che, onestamente, ho forti dubbi di riuscire a portare a termine, anche perché non credo affatto di avere alcuna qualità di romanziere. Dal punto di vista della mia vera professione, che è quella di dirigente televisivo, ne ho invece cassetti pieni. Mi sono innamorato della televisione quando ho capito che coniugava le mie grandi passioni, cioè la scrittura, la ricerca, la lettura e l’immagine. Ma questa è un’altra storia».