Economia – Web Tax e gli evasori fiscali dell’Europa 2.0

Momentaneamente in stand-by la proposta europea di tassare i giganti del web. L’unanimità necessaria a concretizzare la Web Tax non è stata raggiunta a causa dell’opposizione di Irlanda, Svezia e Danimarca.

La Web Tax prevede un’aliquota del 3% sul ricavato dei colossi digitali e andrebbe a colpire le società con un fatturato globale maggiore di 750 milioni di euro e uno europeo che supera i 50 milioni. L’imposta del 3% si applica sui ricavi dalla vendita di spazi pubblicitari, sulla cessione di dati e sull’attività di intermediazione tra utenti e business. La proposta di legge è stata presentata dalla Commissione europea nel marzo 2018. L’impossibilità di raggiungere un accordo al Consiglio dei Ministri dell’economia e delle finanze dell’Ue (Ecofin) ha reso necessario il rimando di tale decisione all’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), fissando il termine al 2020.

Tra le cause scatenanti di tale provvedimento, l’evidente evasione fiscale dei bigdell’Internet 2.0. Dall’indagine realizzata da R&S Mediobanca nel 2016, è emerso che società come Google (Alphabet), Microsoft, Amazon e Facebook, hanno eluso un capitale pari a 46 miliardi di euro in cinque anni, grazie alle scorciatoie dei paradisi fiscali.

Se la Web Tax dovesse tramutarsi in legge, sarebbe solo il primo passo verso l’obiettivo definitivo: obbligare i grandi della Internet Economy a registrare gli introiti e pagare le tasse nel Paese dove questi sono effettivamente generati, e non in altri con imposizione fiscale maggiormente favorevole. In clima di elezioni europee, ovviamente, l’argomento quasi dimenticato è riemerso con fini propagandistici: peccato per gli scarsi risultati.

Nel panorama italiano Non troppo diverso il quadro italiano. L’emendamento Web Tax Italia, proposto dal senatore del Pd Massimo Mucchetti, è stato approvato all’unanimità al Senato ed inserito nella Legge di Bilancio 2019. Ciò che ancora manca è il decreto attuativo, che sarebbe dovuto arrivare entro il 30 aprile, necessario ad indicare le società effettivamente interessate dalla nuova imposta.

Il disegno di legge prevede l’aliquota del 3% su: raccolta di dati tramite piattaforme digitali, pubblicità e marketing online. Sono interessate da tale prelievo tutte quelle imprese che registrano ricavi globali maggiori di 750 milioni, come per la Web Tax europea, e ricavi derivanti dal digital service non inferiori a 5,5 milioni. L’imposta andrà a colpire anche le piccole e medie imprese italiane che effettuano vendite internazionali di prodotti made in Italy.

In attesa del decreto giallo-verde per dare il via a tale imposizione fiscale, resta solo la speranza che questa non segua le sorti delle precedenti Google Tax del 2014 e Digital Tax del 2017, mai entrate in vigore.

Giulia Bugliosi, Laura Politi, Ylenia Rossi

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