La visita di Xi Jinping in Italia, la prima da quando il numero uno del Partito Comunista Cinese è salito al potere, ha fatto ben discutere. Non solo in termini interni, ossia per la richiesta del Parlamento di poter giudicare su una decisione in politica estera presa in maniera unilaterale: c’è di più, perché i tentacoli di Pechino sul resto d’Europa sono una preoccupazione che esula dalla narrazione strettamente italiana. La buona notizia è che (per ora) non c’è troppo da preoccuparsi. Occorre però fare molta attenzione ai risvolti del memorandum italo-cinese sulla Nuova Via della Seta.
Il memorandum è infatti una dichiarazione di intenti, un accordo informale che non sostituisce – né può farlo – un accordo internazionale tra due Paesi, che secondo la Costituzione italiana va ratificato dal nostro Parlamento. È pur vero che questo primo accordo tra governi stabilisce una posizione chiara sulla direzione nella quale si intende procedere, e da questo punto in poi bisogna operare in modo cauto. La Nuova Via della Seta è un progetto cinese che non prevede solo l’espansione commerciale, ma vera e propria influenza geopolitica su Europa e Africa, passando per settanta Paesi aderenti che saranno collegati infrastrutturalmente ed economicamente a Pechino.
Non un “ponte aereo per le arance di Sicilia” come previsto da Luigi Di Maio (e che sarebbe anche ben più inquinante della discussa TAV!), bensì l’entrata in un’orbita politico-economica che non è più quella americana, ma quella di una nazione protagonista di un fortissimo boom finanziario. Nazione i cui standard politici, sociali ed economici, però, non corrispondono ancora al minimo sindacale previsto dalle normative italiane ed europee. Prima che la Cina diventi un partner troppo legato per potersene liberare, e prima che Xi e soci decidano di stabilire i destini del nostro debito pubblico, occorre fermarsi e riflettere.
Per ora, con il memorandum, le opportunità superano i pericoli: ma è un territorio, quello dei pericoli, nel quale è facile addentrarsi senza ritorno. Gli effetti collaterali includono la svendita o il fallimento della produzione italiana, l’apertura a regolamentazioni meno stringenti sull’impatto ambientale e la qualità delle merci e – chissà – probabilmente anche l’estensione in qualche termine del controllo statale dittatoriale sui paradigmi dell’economia e delle strutture sociali che ne fanno parte. L’Italia è il primo Paese del G7 ad accettare un simile accordo con la Cina, pertanto non c’è molta letteratura in materia e ciò contribuisce alla preoccupazione per il futuro; una contrattazione europea sarà assolutamente necessaria perché i prossimi accordi siano equi e Pechino non si ritrovi a spadroneggiare dalle nostre parti.