La Gran Bretagna, la May e l’iceberg del Titanic

Mancano quattro mesi esatti alla Brexit, cioè all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, fissata al 29 marzo 2019. E sono passati 28 mesi dal referendum che sancì la Brexit, il 23 giugno 2016. Ma, a giudicare dallo stato dei negoziati, si potrebbe pensare che di mesi dal referendum ne sono passati quattro e che ne mancano 28 all’uscita. Perché molte cose sono ancora in alto mare, tant’è vero che si parla di un’estensione oltre il dicembre del 2020 della transizione post-Brexit: il che vorrebbe dire che di fatto Londra resterebbe nell’Ue ancora un bel po’ di tempo. E c’è pure chi evoca l’ipotesi che l’uscita avvenga senza un accordo sulle relazioni tra Regno Unito e Unione. O che non avvenga proprio, come hanno chiesto a gran voce domenica scorsa 700 mila britannici in corteo anti-Brexit. Se si votasse oggi, probabilmente il Leave perderebbe e il Remain vincerebbe; ma s’è votato allora ed è andata come è andata.

A non vederla così grigia è – forse unica – Theresa May: la premier britannica, che dovunque vada, dopo la sua performance al congresso del partito conservatore, sembra ormai muoversi sulle note di Dancing Queen degli Abba. La May ha detto lunedì scorso, 22 ottobre, ai Comuni che l’intesa sulla Brexit per un divorzio concordato fra Londra e Bruxelles è “fatta al 95%”, nonostante l’esito non positivo del Vertice europeo del 17 e 18 ottobre: i leader dei 27 hanno addirittura tolto dall’agenda un incontro a novembre sulla Brexit, perché non vi sono i presupposti per convocarlo. Il laburista Peter Dowd ha ironizzato a modo suo sull’ottimismo un po’ ostentato della premier: “Anche il Titanic aveva completato al 95% il suo viaggio” quando urtò l’iceberg e affondò.

Il parere dell’ambasciatore – Sulle prospettive della Brexit e sulla situazione interna britannica, l’ambasciatore Antonio Armellini, che è uno dei maggiori esperti di Regno Unito, ha consegnato una sua riflessione ad AffarInternazionali.it: “La Brexit –scrive – resta al centro del dibattito politico con una intensità inimmaginabile per il resto del continente e vede entrambi i maggiori partiti spaccati al loro interno”.

“Man mano che s’avvicina alla conclusione, il gioco della Brexit – nota l’ambasciatore Armellini – si fa duro … Theresa May prima ha cercato d’inalberare toni ‘churchilliani’, poi ha aggiustato” tiro e proposte”. La cosa ha funzionato al congresso Tory e lunedì scorso ai Comuni: con ottimismo e vaghezza, la premier ha spiazzato i sostenitori della ‘hard Brexit’, aiutata anche dalla mancanza d’idee degli avversari, da Boris Johnson – concentrato soprattutto sull’attacco (fallito) alla leader – al più ‘dialogante’ Michael Gove, al talebano Jacob Rees-Mogg.

La linea dei brexiters conservatori s’incrocia, paradossalmente, con quella dei laburisti europeisti: gli uni e gli altri pensano che il solo modo per cancellare le conseguenze di un qualsiasi accordo siano elezioni che facciano saltare l’attuale governo.

Londra s’affanna e tribola. Bruxelles non ci pensa più di tanto: guai e grane stanno oltre Manica, una volta di più il Continente è isolato (e riparato).

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares