L’Italia in qualità di membro del WTO ha già sconfitto la Commissione Europea: ma non lo sa.

L’Unione Europea dichiara guerra al vino italiano. Ok ai falsi made in italy . Titolano così diversi giornali in questi giorni commentando la modifica del regolamento europeo 607/09 da parte della Commissione, che toglie l’obbligo di origine delle uve per il vino da tavola. Una situazione che ha fatto emergere una lunga serie di “atti di guerra” dell’Unione Europea ai prodotti italiani, l’arma più efficace per colpire a morte il Bel paese. “Disconoscere il diritto alla comunicazione del marchio “made in” comporta soprattutto la progressiva dissipazione del patrimonio delle originalità, delle identità, delle storie, delle culture e delle tradizioni generatosi anche attraverso il mercato nel corso di millenni”. Negare ai consumatori il diritto di distinguere in base alla reputazione dei territori diventa dunque un ulteriore strumento al servizio del progetto europeo di omogeneizzazione della società e di appiattimento delle sensibilità dei consumatori esclusivamente sulla dimensione economicistica e materialistica del prezzo. “L’immenso giacimento di umanità di cui sostanzia il patrimonio dei distretti industriali italiani unitamente alle caratteristiche e peculiarità dei nostri prodotti deve essere necessariamente vilipeso e svilito, in modo da poter essere quindi sacrificato e appiattito senza troppa fatica dal modello imposto dall’Unione Europea con la ottusa e ingiustificabile scusa della tutela della concorrenza in quanto l’indicazione del “made in” darebbe ai consumatori possibilità di far valere i loro eventuali pregiudizi nei confronti delle merci straniere. Una rivendicazione assurda che ancora una volta vede il progetto europeista adatto a stati senza nazione, senza tradizioni, senza cultura, senza anima. Non all’Italia.

Come si risponde a chi ti dichiara guerra ? “Si arretra e si soccombe se non si dispone degli strumenti necessari per reagire. O si va in battaglia e si dimostra di avere un esercito largamente superiore ponendo fine ad ogni velleità di conquista da parte del nemico.

Mai si è visto che uno Stato dotato di mezzi militari più sofisticati e di gran lunga superiori a quelli dell’avversario si lasci saccheggiare senza muovere un dito. Uscendo dalla metafora, ci accorgiamo che questo ultimo caso è proprio quello che riguarda l’Italia che pur essendo vittima di un saccheggio continuo del proprio comparto industriale, agroalimentare ed economico da parte dell’Unione Europea non ha mai fatto appello a quell’esercito mondiale a cui appartiene dal 1994 ossia all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). L’Italia ratificò, infatti, con legge del Parlamento del 29 Dicembre 1994 il Trattato Istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e gli accordi ad esso allegati sottoscritti a Marrakesh il 15 Aprile 1994. “I rappresentanti dei governi degli Stati Membri hanno concordato, in quella sede, di procedere alla firma di quegli accordi a nome dei loro governi superando la diatriba di carattere giuridico-formale su quale fosse l’organo istituzionale competente per tale approvazione” in quanto hanno ritenuto che esso riguardasse questioni di competenza nazionali al contrario della Commissione Europea che riteneva che l’atto finale e gli accordi allegati fossero di competenza esclusiva dell’Unione Europea. Ma se sulla carta ha prevalso l’idea portata avanti dai singoli stati perché De facto è invece la Commissione Europea che si è arrogata il diritto di guidare tutte le decisioni prese in seno al WTO per nome e per conto dei paesi membri della UE ?

Nelle organizzazioni internazionali e nel diritto internazionale i diritti e doveri appartengono alle singole nazioni aderenti.

L’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) si rifà al diritto internazionale per l’applicazione di regole che riguardano i settori più disparati dall’ambiente all’agricoltura, dalla salute alla concorrenza, alla sicurezza alimentare. Questo vuol dire che per superare le sfide della globalizzazione e non subirne i dannosi effetti è importante avere ben chiare le norme del WTO e soprattutto la loro supremazia rispetto ad altre fonti, in particolare a quelle comunitarie dell’Unione Europea. Le divergenze e le contestazioni tra i membri sono risolte dai giudici di Ginevra grazie ad un quadro giuridico snello e raffinato di tipo common law di cui il WTO si è dotato.

Perché in Italia ignoriamo queste norme ed il potere che abbiamo come stato membro nel poterle applicare ? Perché permettiamo dal 1995 alla Commissione Europea di arrogarsi il diritto di presentarsi a Ginevra a nome degli stati membri dell’UE in qualità di “Stato europeo” che De facto non esiste e di agire come unica organizzazione internazionale rilevante per i singoli stati procedendo in alcuni casi, addirittura, ad una autonoma pseudo ratifica di alcuni accordi o emendamenti senza mai coinvolgere nella procedura i parlamenti dei singoli stati come già denunciato in passato alla Procura di Roma da Dario Ciccarelli ex membro della Rappresentanza diplomatica d’Italia presso il WTO a Ginevra.

In questo modo si crea un filtro o più propriamente una barriera che impedisce di far emergere le istanze dei singoli stati e di aprirli al mercato globale senza dover rinunciare alla sovranità delle loro scelte e delle loro politiche come invece pretende la Commissione Europea. Ubi maior minor cessat. Perché questo principio non viene applicato nei confronti delle regole dell’Unione Europea che minano i nostri interessi nazionali e che potrebbero, invece, essere preservati in sede di WTO ?

“Il fatto che sia giuridicamente necessario che le decisioni assunte in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio siano sottoposte al Parlamento ha amplissime implicazioni, perché rende palese che nell’ambito delle Organizzazioni internazionali e del diritto internazionale l’Italia ha tutte le prerogative degli altri Stati. In sede di diritto internazionale e di Organizzazioni Internazionali, infatti, i cd. trattati della cd. Unione Europea non hanno alcuna rilevanza giuridica e quindi gli organi della cd. Unione Europea non hanno alcuna capacità giuridica di rappresentare il popolo italiano.”

Perché noi glielo permettiamo ?

Eppure questa potrebbe essere la risposta dei sovranisti a coloro che li accusano di voler isolare commercialmente l’Italia. A chi chiede più Europa gli si potrebbe contrapporre la volontà di chiedere “più mondo” bypassando l’Unione Europea e facendo valere i nostri diritti al WTO. Questo non vuol dire sacrificare gli Stati sull’altare della globalizzazione ma ridare agli Stati la prerogativa di valorizzare su scala mondiale le proprie peculiarità salvaguardando la propria cultura e le proprie eccellenze.

A chi vuole ostacolare il “made in” potremmo opporre l’esplicita disposizione sui marchi d’origine del WTO per “effetto della quale è concesso ai membri OMC di introdurre a livello nazionale regole che impongano l’obbligo d’indicazione dell’origine geografica alle merci provenienti da altri territori.” La soluzione già c’è perché non la si applica ? Il Wto riconosce che “il retroterra storico e socio -economico delle manifatture di qualità territorialmente ed etnicamente qualificate possono svolgere la funzione cruciale di contribuire a preservare e vivificare le memorie e le diversità culturali. Proprio quello che spingerebbe il made in Italy a rinsaldare la sua leadership nel mondo. Quello che la Commissione Europea tenta di ostacolare. E noi che facciamo ? Lasciamo che sia proprio l’Unione Europea a rappresentarci all’Organizzazione Mondiale del Commercio in modo che i nostri interessi nazionali vengano sacrificati sull’altare dell’economicidio e della omogeneizzazione sociale propria del progetto europeista i cui organi comunitari mirano ad “azzerare il passato dell’antichissima Europa per poter affermare una tabula rasa deprivata di ogni tradizione” sotto l’asettico marchio made in Eu. Come se non bastasse, l’Italia paga milioni di euro ogni anno in qualità di membro del WTO ma poi lascia che a prendere le decisioni in quella sede sia un super Stato che di fatto non esiste, che non paga alcuna quota, in quanto non può essere considerato membro e che ha dimostrato di avere interessi diametralmente opposti a quelli del nostro paese. E tutto questo nel silenzio generale e nonostante il diritto internazionale abbia provveduto a cancellare radicalmente il 15 Aprile 1994 l’impostura comunitaria che ancora oggi cerca di annichilire gli Stati. “In Italia da vent’anni sono ignorate le novità del diritto internazionale dai cittadini , dalle imprese , dai lavoratori, dalle pubbliche amministrazioni, dai tribunali, dalle università” e volutamente anche dai media e dai politici e per citare De Mello continuiamo a vivere come un’aquila che si crede un pollo solo perché lasciamo la scelta di dove collocarci al cacciatore che trova di gran lungo più comodo tagliarci la testa in un pollaio ben circoscritto piuttosto che permetterci di raggiungere le alte vette dove le nostre ali potrebbero condurci.

Il raggio d’azione che l’Italia potrebbe avere in seno al WTO riguarda molteplici materie la cui adozione, in molti casi, si sta rendendo non più procrastinabile per la sopravvivenza del nostro paese. Come ad esempio la questione degli aiuti di Stato alle aziende, che non trova nelle regole del WTO una applicazione restrittiva quanto quella dell’Unione Europea ma che anzi lascia agli Stati degli ampi margini di manovra.

Il sistema di risoluzione delle controversie OMC costituisce “la più importante novità nel diritto dell’economia globale a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo”. Perché non ce ne avvaliamo ?

Ogni Stato ha lo stesso diritto di veto e di voto al WTO. Ogni Stato ha quindi un potere immenso. Certo anche questo potere potrebbe essere solo di facciata qualora sotto si celasse un sistema ricattatorio per gli Stati manipolato dai soliti poteri forti che troppo spesso si muovono all’ombra di queste organizzazioni. Ma cosa abbiamo da perdere ? Se l’alternativa è il più Europa rinunciando ad ogni nostra sovranità e abbandonando per sempre ogni nostra tradizione tanto vale provare a portare più Italia nel mondo. Ci siamo sempre riusciti. Ci riusciremo ancora.

Virgolettati tratti dal libro “Il Bandolo dell’Euromatassa” di Dario Ciccarelli e frutto di una mia conversazione con l’autore.

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