L’Italia è un Paese diviso, per l’ennesima volta in un lasso di tempo troppo breve da poter inquadrare, di fronte alla polemica della settimana. L’evento scatenante è – ovviamente – quello della nave Sea-Watch 3 e del suo capitano Carola Rackete, tedesca di 30 anni, in questo momento trattenuta agli arresti domiciliari dopo l’attracco a lungo preventivato e poi, lo scorso sabato, portato a termine contro le direttive provenienti dal Ministero dell’Interno italiano.
Negli stessi giorni in cui Sea-Watch 3 si vedeva continuamente rifiutare le richieste di attracco per i quarantadue migranti che portava a bordo, contemporaneamente sbarcavano a Lampedusa altre barche di “origine” scafista per un totale di trecento migranti. Si sarà d’accordo su come alla base del caso, montato ad arte, non vi sia una reale necessità di legalità e giustizia quanto una nuova scusa populista per dividere l’opinione pubblica, dando così sfogo ai peggiori istinti del Paese in quanto a intolleranza e disinformazione.
Il diritto, peraltro, è dalla parte di Sea-Watch 3 e c’è da aspettarsi che l’Italia sia richiamata all’ordine da una corte europea in merito alla questione. La Convenzione di Montego Bay, firmata e ratificata dalla maggior parte dei Paesi del mondo, Italia compresa, definisce le linee guida del diritto internazionale per il salvataggio in mare e il successivo sbarco. Essa afferma che, nel caso di salvataggio in mare, chi presta soccorso debba far rotta per il porto sicuro più vicino.
Nel qual caso, si tratta di Lampedusa. Gli altri porti più prossimi sono Malta (che si è rifiutata, ed era in diritto di farlo) e la Libia, che non è considerabile porto sicuro essendo teatro di una violenta guerra civile – oltre che il luogo stesso dove i migranti sono condannati a subire terribili torture e prigionia. Questa, ovviamente, non può essere solo un’”opinione” per poter essere valida a livello giuridico: lo status della Libia come luogo non sicuro è stata confermata dalle recenti visite degli ispettori Onu relative allo svolgimento del conflitto intestino.
Solo Lampedusa, in sostanza; questo avrebbe prescritto il diritto internazionale. Ma in due settimane – si chiede qualcuno – la Sea-Watch 3 non avrebbe fatto prima a far rotta per altri lidi che avrebbero accolto i migranti? Innanzitutto, c’è da sottolineare che Francia e Spagna (come Malta, non tenute allo sbarco) avessero negato tale possibilità. L’Olanda, della quale Sea-Watch 3 batte bandiera e che l’Italia aveva indicato come alternativa, si era rifiutata allo stesso modo ed è inoltre distante almeno dieci giorni di navigazione.
C’era un altro buon motivo per non allontanarsi da Lampedusa: navigare per altre destinazioni avrebbe privato Sea-Watch 3 del supporto umanitario che può giungere, in forma di primo soccorso e in caso di necessità, alla nave ong. A causa delle stesse proprietà fisiche dell’acqua, e al netto di essere distanti dalla terraferma, non esiste infatti un modo per “inseguire” altre navi: in mare aperto, quei soccorsi sarebbero venuti a mancare. Se un migrante fosse morto di stenti durante la rotta per – ad esempio – l’Olanda, Carola Rackete e compagni sarebbero stati penalmente responsabili della sua morte per non aver attraccato presso il primo porto sicuro, Lampedusa. Il che sarebbe stato un terribile controsenso.
L’unico episodio da valutare – e infatti l’unico che può essere realmente perseguibile dagli inquirenti italiani – è quello dell’imbarcazione della Finanza che ha rischiato di essere travolta dalla Sea-Watch 3 al momento dell’attracco. Non molti, però, sanno che il diritto della navigazione dia priorità assoluta di manovra alle navi in procinto di attraccare: vale a dire, a meno di non essere in chiaro stato di servizio e con le sirene attive, l’imbarcazione della Finanza sembrerebbe essere stata in torto. Che si sia trattato di una “scusa” per addossare un reato realmente esistente all’equipaggio della Sea-Watch 3? Ciò è impossibile da affermare con certezza, ma in ogni caso è lecito affermare come una simile fattispecie di reato regga con molta difficoltà.
Dopo questa polemica, imbarazzante per tutto il Paese e per chi tiene non solo al rispetto della vita umana, ma alla stessa legalità, c’è da sperare che i rapporti tra Italia e Germania non tendano subito all’ostilità riguardo la sorte di Carola Rackete, e che la vicenda – come spesso avviene quando c’è di mezzo il populismo – si risolva solo nella voce grossa ma in un sostanziale mantenimento dello status quo.