Trump, il COVID e il destino degli Usa

Donald J. Trump si è infine ammalato di COVID-19. Se quest’ipotesi è stata ventilata per gran parte dello scorso anno – tanto per la vicinanza a membri del suo staff a loro volta contagiati, quanto soprattutto per il suo iniziale rifiuto di proteggersi con la mascherina – la notizia non sarebbe potuta arrivare in un momento più critico per gli equilibri politici statunitensi.

Il contagio arriva infatti ad appena un mese dalle elezioni presidenziali, e pochi giorni dopo il confronto televisivo con il suo rivale nella corsa alla Casa Bianca, Joe Biden. Il candidato democratico e la sua famiglia parrebbero negativi al test COVID, mentre la first lady Melania Trump sarebbe rimasta anch’essa contagiata. La “colpevole”, a quanto pare, è da rintracciarsi in Hope Hicks – ex modella 31enne, amica della first daughter Ivanka Trump e precedentemente a capo delle comunicazioni dello staff di Trump, fino alle sue dimissioni per l’ammissione di aver mentito alla CIA sugli scandali riguardanti il presidente in carica.

Le ipotesi su Trump, oggi febbricitante e in cura con terapie anticorpali sperimentali presso un ospedale militare, si sprecano: se dovesse risultare impossibilitato ad adempiere i suoi doveri presidenziali, il XXV emendamento della Costituzione prevede il passaggio di poteri al vicepresidente Mike Pence – ipotesi verificatasi poche volte nella storia – o, in caso anch’egli risultasse impossibilitato, alla speaker democratica della Camera Nancy Pelosi.

Volendo entrare appieno nella logica della politica statunitense, la malattia di Trump può significare due cose. In primo luogo, c’è da capire se il coronavirus possa ricompattare i suoi sostenitori – e gli indecisi – attorno alla figura di uomo forte che affronta il “male dell’anno”. Idea di sé che da sempre è nelle intenzioni di Trump trasmettere. O se, viceversa, ciò non costituisca che un ennesimo esempio della malagestione trumpiana dell’emergenza da COVID-19, che ancora causa circa cinquantamila nuovi contagi al giorno nei soli Stati Uniti.

In secondo luogo, e non è questione da poco, occorrerà valutare se Trump non desidererà utilizzare la malattia come scusa per posticipare elezioni presidenziali che lo vedono – al momento – sfavorito nei confronti di Biden, al culmine di una lunga annata che l’ha visto puntare il dito contro la validità dei mail ballot, i voti consegnati per posta a causa della pandemia, e l’ha visto nominare una nuova giudice alla Corte Suprema nel controverso periodo di “lame duck”: è prassi che queste nomine non avvengano nel corso dell’ultimo anno di mandato, e proprio nel 2012 i repubblicani furono duri con Obama per la stessa ragione.

C’è chi pensa che questo caos istituzionale, figlio di un sistema costituzionale oggi in crisi, possa procedere con questi espedienti verso una deriva autocratica, e che ci sia addirittura potenziale per un colpo di Stato. Ipotesi che sembrano assurde, certamente, nel Paese democratico più potente al mondo, ma che – complici appunto il disastro politico, le rivolte razziali e il COVID – potrebbero non essere ipotesi dell’altro mondo. Secondo alcuni, Trump avrebbe fatto l’occhiolino ad alcuni gruppi di estrema destra che lo sostengono, dicendo di “star pronti” in caso di guerra civile dopo le elezioni.

Nello specifico, Trump ha rivolto a tali suprematisti bianchi le seguenti parole: «Stand back, stand by». Un sottinteso che fa paura, e che lascia poco spazio all’immaginazione – ma che potrebbe consistere, come spesso nel caso del tycoon newyorchese nella sola volontà di gonfiarsi d’aria per spaventare i nemici. Fatto sta che la situazione negli Usa è grave e merita l’attenzione del mondo intero: quella del prossimo 4 novembre non sarà un’elezione come tutte le altre.

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