Mentre il governo Conte bis muove i primi passi alle prese con un Def che fa barcollare la maggioranza fra ultimatum e polemiche interne fra i principali partiti e da parte del neonato partito renziano, per non perdere la bussola proseguiamo la nostra rubrica che abbiamo chiamato ”articolo per articolo”: ad ogni articolo dei 12 Principii fondamentali della nostra Costituzione dedicheremo una breve riflessione che ripensando ai punti cardinali dia un orientamento nella tempesta odierna.
Siamo arrivati all’art. 3, quello sull’uguaglianza. Più propriamente, sulla «dignità sociale» di tutti e sull’uguaglianza di tutti i cittadini «davanti alla legge». Come dato caratteristico del costituzionalismo del secondo dopoguerra spesso si evidenzia l’aggiunta della seconda parte dell’articolo, cioè il «compito» che l’intera comunità ha di «rimuovere gli ostacoli» che limitino uguaglianza e dignità personale. Si sottolinea spesso cioè lo scarto rispetto allo Stato minimo liberale che garantiva le libertà individuali come sfere di liceità, di non-intervento del potere pubblico: lo Stato sociale liberal-democratico riconosce invece un «compito», un dovere e una missione storica propria «della Repubblica». Si tratta di un compito meta-politico che consiste nel «pieno sviluppo della persona umana» e nella «partecipazione» di tutti all’«organizzazione» della comunità in qualità del loro essere «lavoratori», cioè attivi responsabili della costruzione della comunità stessa.
Bisogna qui puntualizzare un fraintendimento che si rischia assolutizzando questa lettura. Con la Costituzione non si è trattato di un semplice passaggio da «meno Stato» a «più Stato». Addirittura in questo articolo, che pure è alla base dell’intero impianto del welfare state, non si parla di Stato. Si preferisce menzionare la «Repubblica». Ciò significa che i costituenti, a partire dalle loro culture cattoliche e socialiste, si rendevano conto che lo Stato era uno strumento necessario e fondamentale in quel momento, ma pur sempre uno strumento contingente per un compito che non era rivolto ad esso né tantomeno coincideva con esso. Il compito rivolto alla «cosa pubblica», cioè alla comunità di cittadini liberamente riuniti, era la libera crescita («s-viluppo») dell’uomo in quanto persona con una sua dignità e lavoratore con il suo contributo alla collettività.
In un epoca di crisi dello Stato l’articolo 3, se letto con attenzione, può rivelare un valore profetico e utilissimo oggi per ri-orientare la «partecipazione» all’«organizzazione» del Paese in forme tanto più nuove e flessibili quanto più incardinate nella continua crescita della persona umana, della sua libertà e del suo sempre diverso operare nel mondo.