La situazione politica italiana è, in questi giorni più che mai, un eterno dubbio in divenire che ancora deve trovare risposta concreta. E non ci si riferisce solo ai rapporti con l’Europa – a procedura di infrazione in corso – o alle scarse prospettive riguardanti l’economia e la società: è la stessa tenuta di governo, oggi, a essere in ballo. Solo la settimana scorsa ci si sarebbe aspettato che il discorso del premier Giuseppe Conte avrebbe scandito a “streaming unificato” le dimissioni dell’attuale capo del Governo, il che è sintomatico di un esecutivo nel quale le crepe tra alleati non sono solo reali, ma anche percepite in larga misura dall’opinione pubblica.
Conte, poi, ha invece optato per un ennesimo invito all’unità, forse quanto mai necessario per far fronte alle velleità antieuropeiste del suo ministro dell’Interno. Ma l’eventualità che si torni in tempi brevi al voto non è da escludere: anzi, sarebbe quanto di certo auspicato da Matteo Salvini stesso, che in questo momento vanta percentuali di consenso altissime e sa bene quanto volatili esse possano essere: le attuali politiche richiederanno, prima o poi, un forte aumento degli introiti fiscali, e quello sarà di certo il momento in cui Salvini vedrà ridimensionarsi le preferenze nei suoi confronti.
Radicalmente diversa la situazione per l’alleato Di Maio e il Movimento 5 Stelle, che – scivolone dopo scivolone – scende dal primo al terzo posto tra i partiti più graditi d’Italia. Di Maio non vuole il voto anticipato, affatto; questo lo rende accomodante nei confronti delle politiche salviniane, che di conseguenza – in un circolo vizioso – affossano ancora di più il destino di un M5S assoggettato al servilismo di comodo.
Se si andasse al voto domani, quali prospettive ci si potrebbe aspettare? L’ipotesi principale è, ovviamente, quella di un governo interamente di destra: l’asse Salvini-Meloni-Berlusconi ha funzionato in ottica locale e regionale, quando necessario, ma non è detto che l’ex Cav possa necessariamente essere parte di un progetto del genere: il peso politico di Berlusconi, come anche confermato dalle ultime europee, sembra fortemente ristretto dall’andazzo dei tempi e dalla dispersione dell’elettorato storico. Un duo Lega-Fratelli d’Italia, possibilmente sostenuti da altri partiti di estrema destra come Casapound e Forza Nuova – al netto di soglie di sbarramento, s’intende – sembra un’ipotesi plausibile qualora si votasse adesso.
L’altra ipotesi maggiore, che sembrava impossibile fino a pochi mesi fa, è quella di un sodalizio tra il Partito Democratico e i Cinque Stelle. Le prove tecniche di avvicinamento tra i due partiti vanno avanti da tempo – sebbene con nessun reale risultato – e, forse, potrebbero costituire il passo definitivo per la “gentrification” del partito di proprietà della Casaleggio Associati. C’è da considerare che in questo momento il Movimento 5 Stelle, pur di non sprofondare con l’oblio, sarebbe disposto ad accettare qualsiasi tipo di alleanza. Lo stesso non è necessariamente vero per il Pd: nonostante in questo momento sarebbe l’unica garanzia per non avere per primo partito di governo una forza populista, è ancora da verificare la strategia politica che Zingaretti intende attuare in un caso simile. Un gesto altamente irresponsabile da parte dem sarebbe quello di lasciar vincere la coalizione di destra populista per poi – come spesso successo in passato – presentarsi solo al momento di depredarne i cadaveri. E, va detto, non è da escludere.
Probabilmente, nessuna delle altre combinazioni sarebbe adeguata a mantenere un governo stabile: nemmeno la già testata coalizione Pd-Fi che tante discussioni ha generato. I tempi sono diversi, e diverse sono anche le dinamiche di potere. Il tutto, s’intende, sempre che non sia necessario un
governo tecnico a guida Draghi o Visco in tempi brevi. Il che, nonostante tutto, sembra la situazione da augurarsi meno.