C’era grande attesa e fermento alla kermesse parmigiana organizzata dalla celeberrima Guida Michelin, per capire chi veniva premiato con le agognate stellette e chi le avrebbe, invece perse.
Un sali e scendi, tra illusioni, gioie e delusioni che, come polvere di stelle, brillano, offuscano, illuminano alcuni, pochi, premiano gli sforzi di tanti, non molti, e lasciano l’amaro in bocca a tanti che speravano di ricevere l’ambito riconoscimento, premio alla loro arte culinaria, e dovranno, invece, rimandare tutto al prossimo anno.
E sono finalmente 10 i tristellati italiani; dieci numero perfetto, numero magico, che spingono l’Italia al secondo posto tra le nazioni mondiali con più stellati, motivo, anche questo di profondo orgoglio per una tradizione, quella gastronomica, da sempre apprezzata e che negli anni ha compiuto grandi passi in avanti per qualità, estro e creatività, materie prime, queste, che certamente nello Stivale italico non mancano proprio.
Nel gotha dei tre stellati italiani, così, accanto a Massimo Bottura, con la sua Osteria Francescana, al mantovano Dal Pescatore dei Santini, a Le Calandre dei fratelli Alajmo, Da Vittorio, a Brusaporto, della famiglia Cerea, Il Reale di Niko Romito, La Pergola di Heinz Beck, e ancora, l’Enoteca Pinchiorri di Firenze, il Piazza Duomo, di Alba, di Enrico Crippa, e il St. Hubertus, a San Cassiano Val Badia, di Norbert Niederkofler – la novità a tre stelle dello scorso anno – troviamo oggi Mauro Uliassi, con il suo ristorante di Senigallia.
Un premio per il lavoro svolto dallo chef marchigiano, che da anni era già dato in rampa di lancio per la conquista della sua terza stella.
Un premio per la sua cucina sospesa tra tradizione e sperimentazione, altamente creativa, raffinata ed equilibrata, che non ha smarrito le proprie radici territoriali, ma le ha sapute trasportare in un futuro gastronomico che fa strabuzzare gli occhi per lo stupore, e ingolosire le papille gustative.
E un premio anche a tutto lo staff del suo ristorante stellato, perché la cucina e la creatività dello Chef, da sole non bastano, serve anche un locale impeccabile, un servizio attento, di qualità, professionale e discreto, una brigata capace di seguire il proprio ‘capitano’, muovendosi come un orologio svizzero, come se ad animarla sia un unico respiro e un’unica mano.
La ristorazione è narrazione, è un racconto racchiuso in un piatto, che regala emozioni a chi degusta, gli narra un territorio, gli trasmette un’idea, una filosofia, unica, originale, inconfondibile.
Per questo le tre stelle Michelin sono uno tra i riconoscimenti più ambiti, perché significa aver raggiunto il podio più alto, essere riconosciuti tra i migliori, ripaga delle tante fatiche e sacrifici compiuti, anno dopo anno. Ora il difficile sarà mantenere negli anni questo riconoscimento, perché, le stelle sono comunque illusioni, brillano ora, ma rischiano di spegnersi nel tempo, se non alimentate costantemente.
E se l’edizione 2019 organizzata dalla Rossa, non premia nessun nuovo due stelle, altresì dona una stella a ben 29 realtà ristorative italiane, premio al loro straordinario lavoro e primo passo nel cammino glorioso verso le tre stelle.
Ma non c’è illusione senza delusione; e così, c’è chi gioisce per la stella conquistata, e chi rifletterà, invece, sulla stella persa, come Stazione di Posta, a Roma, l’Antica Osteria dei Camelì, nel bergamasco, il ristorante di Arma di Taggia, La Conchiglia, l’Ilario Vinciguerra, a Gallarate, La Clusaz, nel valdostano, l’Emilio, a Fermo, il San Giorgio, a Cervo, il Castel Fragsburg, a Merano, il Dopolavoro, a Venezia, l’Antonello Colonna e il Magnolia, a Roma, e l’Armani, a Milano, inevitabile per quest’ultimo, dopo gli ultimi recenti cambi in cucina.
E c’è pure chi si godrà le sue sei stelle – già sei stelle Michelin! – come lo Chef Enrico Bertolini, il più stellato d’Italia, suddivise tra i suoi cinque ristoranti, e chi si godrà le sue quattro stelle, come Antonino Cannavacciuolo, che dopo le due stelle di Villa Crespi, ottiene la stella per il suo Bistrot di Torino e una per quello di Novara.
Cannavacciuolo e Bertolini sono gli Chef italici che sono riusciti a unire alla cucina creativa e ricercata, anche lo spirito imprenditoriale, dando vita così a diverse realtà gastronomiche differenti tra loro, ma tutte vincenti. Il loro merito? Non solo la bravura eccezionale tra i fornelli, ma anche la capacità di creare brigate straordinarie, capaci di riprodurre fedelmente la filosofia culinaria dello Chef, in ogni realtà in cui vengono inserite.
E per chi, invece, quest’anno non ce l’ha fatta a entrare nella Bibbia Rossa della gastronomia? Per chi è rimasto deluso dai voti ricevuti dagli ispettori Michelin, per chi ha perso la sua stella, o non ne ha ottenuta un’altra ancora? Tranquilli! C’è un altro anno da vivere intensamente per prendersi il proprio posto nella Guida Michelin: l’Olimpo della gastronomia è una montagna dura da scalare, ma qualche soddisfazione la regala sempre!