Pizza, l’Italia nel piatto

Pizza=Italia? Sarebbe riduttivo ovviamente, ma nulla al mondo sicuramente rappresenta in maniera più simbolica il ricordo del nostro Paese. Probabilmente non esiste un solo posto sul Pianeta Terra dove non si possa mangiare una pizza (che sia essa preparata “live” o surgelata) e lo scrivente non è ancora entrato in contatto con un essere umano a cui non piaccia almeno in una delle mille versioni in cui essa viene proposta. Scoperta la cottura sulla pietra, l’uomo non ha potuto fare altro che scoprire anche la pizza. Già, la storia di questo piatto diventato nel tempo marchio di fabbrica della cucina italiana (e napoletana in particolare), ha origine fin dall’alba dei tempi. E per qualcuno, tutto ha inizio durante il Neolitico: in quel periodo, infatti, nel Vicino Oriente, gli uomini, nata da poco l’agricoltura, capirono che cuocere sulla pietra polente di cereali tostati e macinati o di pane azzimo fosse un buon modo per mangiare qualcosa di davvero gustoso e originale. Grazie poi agli antichi Egizi, scopritori del lievito, la storia della pizza inizia a trasformarsi: con la lievitazione, gli impasti di cereali schiacciati o macinati diventano, dopo la cottura, morbidi, leggeri, più gustosi e digeribili. E così si diffonde inizialmente il pane. Inizialmente. Inventato il pane, il percorso a tappe della pizza continua nell’antica Roma. Qui, i contadini, dopo aver imparato ad incrociare i diversi tipi di farro conosciuti creando la farina (il suo nome deriva da “far”, che in latino vuol dire proprio farro), impastano la farina di chicchi di frumento macinati con acqua, erbe aromatiche e sale e poi pongono questa focaccia rotonda a cuocere sul focolare, al calore della cenere. Bene: i napoletani non la prenderanno nel migliore dei modi, ma sono stati i romani ad utilizzare veri e propri dischi di pane per contenere pietanze sugose! Pizze rotonde, più o meno, ma con gradi di parentela molto, molto lontani dalle pizze che si possono gustare oggi all’ombra del Vesuvio: mancano, infatti, ancora tantissimi ingredienti, molti dei quali sconosciuti fino a secoli e secoli dopo. Nel VII dopo Cristo, con l’arrivo in Italia dei Longobardi, inizia a circolare un nuovo vocabolo gotico-longobardo: “bizzo”, talvolta detto “pizzo”. In tedesco “bizzen”. Ovvero morso. Ci siamo quasi. Da morso a boccone, da pezzo di pane a focaccia tanto che verso l’anno Mille, si trovano i primi documenti ufficiali col termine “pizza” come in uno datato 1195 e redatto a Penne, in Abruzzo, o quelli della Curia Romana del 1300, dove si parla di “pizis” e “pissas” riferendosi ad alcuni tipici prodotti da forno, di quel periodo, nel centro-sud della penisola. Abruzzo e Molise su tutti. Napoli, ci stiamo avvicinando. Nel 1535, finalmente, nella sua “Descrizione dei luoghi antichi di Napoli”, il poeta Benedetto Di Falco dice che la “focaccia, in Napoletano è detta pizza”. Così diventa ufficiale e anche in Campania l’evoluzione della pizza non si è mai fermata. E la tradizione neanche. Come quella della tipica schiacciata di farina di frumento impastata e condita con aglio, strutto e sale grosso continua a incontrare il favore delle popolazioni del Meridione. In poco tempo, però, l’olio d’oliva prende il posto dello strutto, si aggiunge il formaggio e si ritrovano le erbe aromatiche. E così, agli albori del XVII secolo, fa la sua apparizione una ricetta dal maestoso profumo di basilico, la pizza “alla Mastunicola” (in dialetto, del maestro Nicola). Nel 1600 poi, ci troviamo davvero agli inizi della storia moderna della pizza: pasta per pane cotta in forni a legna, condita con aglio, strutto e sale grosso, oppure, nella versione più “ricca”, con caciocavallo e basilico. Con la scoperta dell’America, poi, arriva il pomodoro anche in Italia e tutto prende un sapore diverso. Il pomodoro fu dapprima usato in cucina come salsa cotta con un po’ di sale e basilico, mentre più tardi qualcuno ebbe l’intuizione di utilizzarlo, inventando, così senza volerlo, la pizza come la conosciamo oggi pur senza mozzarella, che invece completa questa storia solo nel 1800, lo stesso secolo in cui, ormai, la pizza è diffusissima tra il popolo, ma non solo. A gustarla volentieri sono anche baroni, principi e regnanti, tanto che finisce sulle tavolate durante i ricevimenti dei Borboni, mentre Ferdinando IV la fa cuocere nei forni di Capodimonte. La prima ricetta della pizza come la conosciamo oggi, è riportata in un trattato dato a Napoli nel 1858, che descrive il modo in cui in quegli anni si prepara la “vera pizza napoletana”. Verso la fine dell’Ottocento poi, la pizza col pomodoro e mozzarella arriva addirittura in America grazie agli italiani che emigrano a New York e viene fatta esattamente come nel capoluogo partenopeo. Tra Ottocento e Novecento, parlare di pizza è ormai cosa normalissima e nel tempo ne nascono varianti di qualsiasi genere, per tutti i gusti. La seconda ondata di diffusione, ad ogni modo, si ha dopo la Seconda Guerra Mondiale: la pizza esce dai confini del meridione d’Italia per sbarcare al nord e col boom industriale nel triangolo Milano, Torino e Genova, migliaia di emigranti si spostano con le loro famiglie portandosi dietro i modi, gli usi e costumi a loro pertinenti: incominciano pian piano a fare le prime pizze per i compaesani e via via, con il successo ottenuto, anche per la gente del posto. Negli anni Sessanta, poi, le pizzerie arrivano praticamente in tutto il Paese e nel giro di qualche anno, in tutto il mondo. Dalla Cina al Medio Oriente, dall’Europa dell’est all’America del sud. Tutti non sanno più farne a meno e, giustamente, Il 6 Dicembre 2017, l’UNESCO ha iscritto “L’arte tradizionale dei pizzaiuoli napoletani” nella lista del Patrimonio Mondiale Culturale Immateriale dell’Umanità! Difficile immaginare un riconoscimento diverso per un piatto diventato simbolo della nostra Italia e delizia per i palati di tutto il mondo!

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