Chiamiamolo “oro liquido” o “elisir di salute”, ma in ogni caso l’olio extravergine di oliva, prodotto tipico dell’area mediterranea, risulta essere ad oggi uno dei prodotti di cui si fa maggior consumo nel mondo e secondo statistiche recenti e l’aumento di consumo a livello mondiale negli ultimi cinque anni, si attesta attorno al 74%, ed è curioso notare come Giappone e Stati Uniti abbiano la percentuale più alta di aumento, indicatore che dimostra la modifica delle proprie abitudini alimentari in maniera significativa. Qualcosa sta dunque cambiando e l’attenzione ad un regime alimentare corretto e maggiormente salutistico, sta imperversando con sempre più forza e soprattutto consapevolezza. Ma l’olio extravergine di oliva, che oggi abbonda sulle tavole, ha una storia secolare che ha permeato le dinamiche economiche e commerciali di intere aree geografiche. Una storia tanto vicina all’ambito agricolo quanto a quello religioso, economico, commerciale, sociale e naturalmente culinario. La prima testimonianza storica della presenza di ulivi risale al sesto secolo a.c., ai tempi della Magna Grecia, e ci sono testimonianze di conoscenza del ciclo biologico dell’albero dell’ulivo anche nell’Antico Testamento. Nel I secolo a.C. invece, Plinio affermava il primato italiano nella coltivazione di ulivi, primato che nell’arco di poco tempo sarebbe stato definitivamente strappato all’area della Tunisia. Ma è nel medioevo che il consumo di olio di oliva in Italia comincia ad essere condizionato da nuove ragioni che sono da ascrivere anche ad una serie di cambiamenti di rituali e visione della religione. Se nell’Italia del nord per incamerare energie si ingerivano strutto e grasso in quantità abbondanti, in quella del sud l’utilizzo dell’olio era già quasi consuetudine, ma con l’avvento della Quaresima e nei giorni di quasi digiuno imposti, quando le carni erano vietate, la domanda di olio cominciava a salire determinandone la futura consacrazione, almeno a livello italiano. In verità le motivazioni della disparità di sviluppo sono da attribuire anche alle specificità geografiche dei territori, più collinari e con clima mite quelle meridionali, montuosi e contraddistinti da rigidi inverni quelli settentrionali e dunque naturalmente meno predisposti alla coltivazione di ulivi. Il tradizionale uso culinario però era già da allora soltanto una delle declinazioni operative dell’olio di oliva: molto frequentemente, infatti, veniva utilizzato per confezionare il sapone, lavorare la lana, per attività afferenti alla cosmesi e alla medicina (come elemento lenitivo per esempio), oltre alle numerose pratiche di carattere liturgico. Su questo va fatto un breve inciso: si provi ad immaginare quanto i rituali ecclesiastici siano caratterizzati dall’uso dell’olio per il Battesimo, per la Comunione, la Cresima, l’ordinazione sacerdotale e i ramoscelli di ulivo scambiati il giorno della Domenica delle Palme in segno di pace. Sarà poi intorno al XIII secolo che si inizierà a mettere a sistema la coltura degli Ulivi e si comincerà a teorizzare con maggiore accuratezza il possibile uso delle differenti tipologie di olive. Ripercorrendo dunque la storia dell’olio di oliva, si evince che in una prima fase la coltivazione degli ulivi, seppur abbastanza diffusa, era sempre affiancata ad un’altra tipologia di coltivazione, come quella di cereali, ad esempio, e non si era forse ancora acquisita la giusta consapevolezza sulla diffusione e sull’importanza del prodotto anche se se ne intuivano le potenzialità faticando a sfruttarle però tutte al meglio: in un campo con mandorli, vigneti e cereali, si aggiungeva la coltivazione degli ulivi e questo è ampiamente dimostrato da alcuni contratti di cessione di terre dell’epoca. I mesi della raccolta erano ottobre, novembre e dicembre (che in linea di massima sono quelli attuali), ma la peculiarità stava nel fatto che queste date erano tutt’altro che indicative, c’era un organo di sorveglianza appositamente istituito che ispezionava le terre e vigilava sul rispetto di questa legge: l’inizio e la fine delle attività erano sanciti dal Comune e lo stesso procedimento avveniva per la vendemmia. Ma chi si occupava della raccolta? Oltre ai braccianti, era ingente la presenza di manodopera femminile (che però poteva essere impiegata solo ed esclusivamente in fase di raccolta), come anche di immigrati (molto spesso provenienti dall’Albania). Nelle aree del nord la raccolta avveniva invece attraverso l’aratura e nel
Mezzogiorno, molto meno regolamentato ed infatti meno ricco di testimonianze afferenti a questo iter, si procedeva per abbacchiatura con conseguente caduta delle olive su un panno che era stato disposto prima sul terreno. Dai campi, le olive venivano poi trasportate al frantoio ed in molte città questo avveniva in groppa ad un asino, custodendole in brocche. Le macine dei frantoi erano molto spesso alimentate con energia animale, così come è anche vero che però nel giro di pochi decenni si sarebbe passati all’energia idraulica. Una terra così accogliente per un prodotto come l’olio di oliva quale era ed è l’Italia, vedeva però le proprie potenzialità economiche frenate da una tardiva evoluzione del settore trasporti e gli scambi commerciali, fino più o meno al quindicesimo secolo, erano da considerarsi su scala locale tra zone che facevano parte di aree contigue, quindi molto limitati. Con lo sviluppo poi del trasporto marittimo, ad essere favorite furono dunque le città costiere ed infatti tra le prime vere e proprie esportazioni, figurano le città di Bari e Venezia, entrambe caratterizzate da una forte presenza di mercanti, che già intorno al dodicesimo secolo commerciavano spezie nell’area di Costantinopoli (approssimativamente la nostra Turchia di oggi) ed erano avvezzi al mercato estero: non sorprende che infatti colsero l’opportunità dell’esportazione di olio d’oliva in tempi molto brevi. Il resto è una storia tutta in divenire che consacra l’Italia come nazione con più esportazione di olio di oliva quale eccellenza del Made in Italy, fiore all’occhiello e simbolo di quella che si chiama dieta mediterranea, salutare, equilibrata ed emulata in tutto il mondo. La conclusione di questo approfondimento ci porta ad una certezza: in millenni di storia, il suo sapore è stato sempre uno dei più apprezzati ed oggi caratterizza i piatti della nostra cucina. La descrizione della storia dell’olivo è dunque un compito laborioso ma allo stesso tempo affascinante perché essa, in fondo, non fa altro che ripercorrere anche la storia dell’Uomo…