Addentrandoci all’interno dell’incredibile mondo gastronomico italiano, quello che emerge è sicuramente la grande capacità che esso ha di stupirci attraverso le centinaia di produzioni che la nostra millenaria cucina è in grado di regalarci in ogni angolo del nostro Paese. Fra le regioni che vantano il maggior numero di sorprese culinarie, capaci di ribaltare completamente l’idea che si ha di esse, c’è sicuramente la Calabria. Una terra che, nonostante fatichi molto a crescere, brilla di luce propria grazie alle sue produzioni e alla dedizione dei molti calabresi che portano avanti tradizioni centenarie. Ricca di storia e risorse, spesso frutto di contaminazioni, la Calabria oggi vanta molte eccellenze culinarie, non sempre tutelate. E quando si parla di gastronomia esiste un unico comune denominatore: il peperoncino. Fra i prodotti tipici, spicca sicuramente la ‘nduja calabrese, il salume morbido e piccante che oggi si identifica come simbolo di una regione intera, nonostante la sua produzione originaria sia prerogativa di una città e una zona in particolare. La ‘nduja è un salume spalmabile a base di carne, grasso di maiale e peperoncino piccante, insaccato nel budello cieco e stagionato. Ha una forma allungata, il diametro largo ed il colore è di un bel rosso brillante e acceso, che quasi “avverte” il consumatore della cospicua presenza di peperoncino. La sua consistenza è praticamente inedita per un salume: morbida, quasi cremosa, il che la rende adatta a molte preparazioni diverse. Il gusto della vera ‘nduja di Spilinga è pieno e avvolgente, in bocca stuzzica le papille gustative grazie all’equilibrio fra il grasso morbido, i pezzi di peperoncino macinato e il giusto grado di sapidità. Insieme al ciauscolo marchigiano, la ‘nduja calabrese si contende il primato come salume italiano spalmabile più diffuso del Paese. La ‘nduja è una preparazione tipica della cucina povera calabrese, nata per utilizzare gli ultimi scarti del maiale. In origine, per la sua produzione venivano utilizzati stomaco, intestino, milza, polmoni, esofago, cuore, trachea, ma anche altri scarti come le parti molli del retrobocca, la faringe le porzioni carnose della testa e i linfonodi. In generale, il grasso utilizzato per la ‘nduja proveniva dagli scarti di altre preparazioni, come sugna, soppressata o salsicce. L’insaccatura avviene nel budello cieco, detto anche orba, la parte finale dell’intestino crasso. In alcuni casi, la ‘nduja viene affumicata leggermente bruciando essenze di robinia o di ulivo e successivamente viene stagionata in un luogo fresco, asciutto e igienicamente protetto, per un periodo che va da un minimo di 3 mesi ad un massimo di 6, a seconda della grandezza dell’insaccato. La cospicua presenza di peperoncino piccante, dalle note proprietà antisettiche e antiossidanti, fa si che questo salume non abbia bisogno di conservanti. Anche se oggi la ‘nduja originale viene prodotta in tutto il territorio della provincia di Vibo Valentia, e in generale in varie parti della Calabria mantenendo intatte la ricetta e il procedimento originale, il luogo d’origine del salume, che detiene il titolo di “Città della ‘nduja”, è senz’altro Spilinga, un paese di poco più di 1400 abitanti alle pendici del Monte Poro, a sud di Tropea. Per gli amanti delle sagre, del folklore e delle feste popolari, è utile sapere che dal 1975 ad oggi, Spilinga ospita ogni anno l’8 di agosto, “La sagra della ‘nduja”, una manifestazione a metà fra storia, mitologia e folklore. In questa occasione, oltre a degustare il popolare salume calabrese in tutte le salse, è possibile assistere a danze popolari legate alla storia del territorio. Addentrandoci un po’ nella storia di questo prodotto, possiamo evincere che le origini della ‘nduja calabrese non sono del tutto certe, ma la tesi più accreditata fa risalire le sue origini al periodo Napoleonico: sembra che in quel periodo, Gioacchino Murat, cognato di Napoleone Bonaparte, avesse ordinato ai suoi di distribuire gratuitamente un salume francese a base di trippa, per entrare nelle grazie dei Lazzari dello stato partenopeo. Questo salume aveva un nome che oggi suona particolarmente familiare: andouille. A quanto pare ebbe successo fra i calabresi, che si appropriarono dell’idea modificando la ricetta in base alle risorse dell’epoca: grasso, cotiche, frattaglie e, ovviamente, peperoncino piccante. Da allora la preparazione è stata affinata, e oggi conta fra gli ingredienti le carni e il grasso (lardello, guanciale, pancetta) e il peperoncino piccante. La ‘nduja è sicuramente la regina indiscussa della cucina calabrese, diffusa in Italia ma amata anche all’estero, soprattutto per merito di chef e cuochi che la esportano e propongono nei loro ristoranti. Va messo in risalto però che, nonostante sia sempre più conosciuta, la ‘nduja di Spilinga oggi non gode di alcun marchio di tutela, una mancanza, questa, che purtroppo incoraggia la produzione di pessime imitazioni del prodotto e svilisce la natura di un alimento rappresentativo di una terra. Non sono rare infatti le notizie che vedono aziende estere fare affari imitando il popolare salume calabrese, attraverso prodotti che di calabrese hanno ben poco: dal pepe di Cayenna alle spezie orientali. Trovare un salume più versatile della ‘nduja è pressoché impossibile. Non a caso, infatti, non manca mai nel frigo di un calabrese! Sicuramente, esistono molti modi di utilizzarlo, il più semplice è spalmarla sul crostino di pane. Chiaramente, parliamo di un crostino preparato e mangiato nel giro di due minuti: il pane, di grano duro e con mollica consistente, va tagliato a fette e scaldato bene e la ‘nduja va spalmata subito, quando è ancora caldo, così la scioglierà leggermente rendendola morbida e amplificando la nota piccante in bocca. Per la sua consistente parte grassa e il suo sapore stuzzicante, la ‘nduja si presta bene ad arricchire sughi a base di pomodoro, salse, o a fare da base per corposi soffritti. Va detto però, che alcuni produttori suggeriscono di non cuocerla mai ma di scaldarla e basta. C’è chi preferisce aggiungerla sulla pizza o chi l’adopera per insaporire verdure, carne o in abbinamento a formaggi stagionati. In ogni caso e prescindere dall’utilizzo che ognuno sceglie di farne in cucina, la certezza del risultato sarà sempre legata ad una piacevolissima sensazione delicatamente “infiammabile” del palato in grado di caratterizzare in maniera unica le pietanze. Un vero e proprio “fuoco” commestibile, calabro ovviamente!