Nerello Mascalese, Principe dell’Etna

Rappresenta uno dei tanti vanti italiani ed uno degli infiniti vanti siciliani. Dopo il Nero d’Avola è il secondo vitigno più coltivato in Sicilia. Detto “Niuriddu mascalisi” in siciliano, il Nerello Mascalese è un vitigno che cresce prevalentemente sull’Etna, provincia di Catania. Il nome Mascalese rimanda al suo luogo d’origine che è la Piana di Mascali, zona agricola tra il mare e l’Etna sita sul versante orientale del Vulcano. Ad oggi la coltivazione del vitigno è presente in tutto il circondario etneo della suddetta provincia. Il territorio di eccellenza, tuttavia, rimane quello intorno ai comuni di Castiglione di Sicilia e di Randazzo, tra Rovittello, Solicchiata, Calderara, Passopisciaro e Linguaglossa: in quest’area, infatti, i suoi vigneti eroici hanno resistito all’epidemia della Fillossera e la conformazione dei suoli vulcanici, l’elevata altitudine (fino ai 1100 metri sul livello del mare) e la pratica di allevamento della vite, hanno reso molto resistente questo vitigno. La su presenza in Sicilia la si può riscontrare anche sulle colline e lungo le coste che si affacciano sullo Stretto di Messina e nella lingua di terra chiusa tra il Mar Tirreno e il Mar Ionio esso dà vita al Faro DOC. Tale nome potrebbe derivare da Punta Faro, punta estrema dello Stretto di Messina, o dalla popolazione greca dei Pharii, colonizzatrice di gran parte delle colline messinesi. La storia del Nerello Le origini di questo vitigno possono essere fatte risalire al VII secolo a.C. con la colonizzazione greca delle coste del messinese e di quelle calabre. In un primo momento, con la fondazione di Naxos nel 734, di Zancle nel 730 e di Catania nel 728, i Greci diffusero il culto di Dioniso e iniziarono la coltivazione del vitigno. La produzione del vino, successivamente, si estese nel catanese e nel messinese fino alle pendici dell’Etna. Si produssero, in quest’area, i famosi mamertini tanto apprezzati dai tiranni siracusani e in seguito dai Romani, soprattutto da Cesare: quest’ultimo, infatti, amava festeggiare le sue vittorie galliche con i ricercati “Tauromenitanum” e “Mamertinum”. Alla caduta dell’Impero Romano, la coltivazione della vite e la produzione del vino non ebbero particolari slanci ed il territorio del Nerello Mascalese non era conosciuto e famoso come lo è oggi. In età moderna poi, nel 1543, Carlo V concesse al vescovo Caracciolo l’elevazione della piana di Mascali a Contea. Le terre di Mascali vennero, pertanto, date in enfiteusi ai viticoltori, che contribuirono alla selezione di questa varietà. Tuttavia, solo alla fine del XX secolo si sono ottenuti gli interessanti risultati oggi noti. Con un importante lavoro, realizzato soprattutto nel nuovo millennio, si è valorizzata la qualità del vitigno autoctono e sono state introdotte le denominazioni di origine. Oggi i vini ottenuti dalla vinificazione di questo vitigno sono tra quelli più apprezzati a livello internazionale. Una data certamente da ricordare è 1968 quando il Nerello Mascalese diventa la base per la denominazione DOC dell’Etna Rosso, di cui rappresenta almeno l’80%, mentre il restante 20% è dato dal vitigno Nerello Cappuccio. Il riconoscimento della Faro Doc risale al 1976 e prevede, secondo disciplinare, l’uso di uve Nerello Mascalese da un minimo del 45 al 60%, di Nerello Cappuccio dal 15 al 30%, di Nocera dal 5 al 10%. Ma cos’ha di speciale quest’uva? Iniziamo subito a rilevare che le sue versioni più prestigiose vanno sotto la denominazione Etna Doc e che il Nerello Mascalese è uno dei vini rossi italiani più eleganti. E’ ricco nelle sue diverse espressioni perché caratterizzato da un insieme di piante clonali eterogenee tra loro. Le diverse espressioni dell’uva, anche annuali, dipendono molto dalle condizioni climatiche, dal versante del vulcano Etna e dall’altitudine. E’ un vitigno a maturazione tardiva e nella zona Etna, infatti, la vendemmia si svolge generalmente a metà ottobre: i grappoli che vengono raccolti sono i migliori, perché sono stati selezionati e baciati dal sole grazie ad una previa sfogliatura. Andando invece ad analizzare il suo aspetto organolettico, occorre distinguere tra il Nerello Mascalese in purezza e quello vinificato in assenza di vinacce. Quello in purezza ha un colore rosso carico, un rosso ciliegia tendente al granato. All’olfatto si presenta con eleganti profumi di piccoli frutti rossi e con sentori di liquirizia e spezie. Al palato è secco, tannico, persistente e armonico. Quello invece vinificato in assenza di vinacce, è conosciuto come “Pesta in Botte”: questo particolare vino assume un colore rosso carico e intensi profumi di viola, di piccoli frutti rossi e spezie ed il suo gusto è pieno, caldo e asciutto ed inoltre, se coltivato in terreni vulcanici, si percepisce una decisa mineralità. Bere il Nerello Mascalese è come una grande esperienza, è come fare un tuffo in Sicilia tra pini, rocce, mare e sole che brucia la pelle, perché questi sono i suoi nobili sentori e a questa nobiltà possiamo dare anche un titolo, quello incontrastato di Principe dell’Etna che tanto rappresenta i siciliani con tutta la loro forza, tradizione ed unicità.

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