Tornato in Italia nel 1963, Leonardo Specogna ha dato i natali a un’azienda ancora viva e operante
Il fenomeno della migrazione italiana in Svizzera ha raggiunto il suo apice nei primi anni del secondo dopoguerra. Numerosi braccianti, operai, manovali e imprenditori si sono recati presso la Confederazione elvetica, spesso in condizioni di indigenza, alla ricerca di migliori condizioni lavorative e di vita. Non è stato facile. Il fenomeno della xenofobia e della discriminazione ha in più occasioni scoraggiato, se non apertamente emarginato, i nuovi arrivati dalla penisola. A questo proposito, chi era adulto negli anni ’70 potrà forse ricordare l’iniziativa popolare “Schwarzenbach”, respinta dal 54% dei votanti elvetici in occasione di un referendum, con la quale si pretendeva di ridurre il tetto massimo della presenza di stranieri in Svizzera a un rigido e invalicabile 10% della popolazione.
Alcuni degli espatri si sono tradotti in una permanenza definitiva sul territorio della Confederazione. Altre volte, invece, gli emigrati hanno deciso di acquisire in Svizzera un certo benessere materiale e un’ulteriore formazione professionale, per poi virare nuovamente in direzione dell’Italia, e qui mettere a frutto quanto ottenuto e appreso. Tra questi rientra la vicenda umana e professionale di Leonardo Specogna, che nel 1963 rientrò in Italia, precisamente nel Friuli Venezia Giulia. Qui, presso la località di Corno di Rosazzo, acquistò un appezzamento di terra di modeste dimensioni. Così ebbe inizio la storia dell’azienda Specogna, che dagli anni ’60 non ha fatto altro che estendersi e accrescere il proprio prestigio, a livello nazionale e non solo. Questo roseo sviluppo è stato reso possibile dall’avvedutezza professionale degli eredi di Leonardo Specogna, oltre che dal rifiuto di ogni compromesso in merito alla qualità delle produzioni. Inoltre, negli ultimi anni, le cantine dell’azienda sono state soggette a un’ampia opera di ristrutturazione, che, facilitando le procedure del pigiamento dell’uva e dell’imbottigliamento, si è dimostrata migliorativa per le modalità di produzione del vino.
Inizialmente l’azienda non era specializzata nel ramo vinicolo. La viticoltura, praticata essenzialmente per autoconsumo, si affiancava infatti alla produzione cerealicola e casearia. Fu soprattutto Graziano Specogna, figlio di Leonardo, a indirizzare il lavoro aziendale verso la specificità vinicola. Tendenza, questa, implementata dalla terza generazione della famiglia, nelle figure di Cristian e Michele Specogna. Sono stati proprio i due fratelli a instradare definitivamente la produzione agricola sulla strada del successo, seguitando a rigettare l’impiego di pesticidi e diserbanti come strumenti facilitatori. Ed ecco che oggi i Vignaioli Specogna possono vantare la realizzazione di centoventimila bottiglie all’anno, per metà vendute sul territorio nazionale, per metà esportate in più di trenta paesi. Cristian e Michele, molto attenti al tema della biodiversità, hanno anche deciso di impiantare numerose specie arboree presso le colline friulane di Rocca Bernarda. Territorio che hanno iniziato a utilizzare anche per la produzione di un delizioso miele.
Il successo dell’azienda Specogna, che oggi si estende per circa ventiquattro ettari, va dunque imputato alla serietà dei gestori, alla loro competenza imprenditoriale, nonché alla strenua ricerca dell’eccellenza. Forse però, tutto questo non sarebbe stato possibile se nel 1963 Leonardo Specogna, impiantando la propria attività, non avesse avuto l’arguzia di selezionare un luogo così adatto alla viticoltura: Corno di Rosazzo, località compresa nei Colli Orientali, caratterizzata da frequenti escursioni termiche. Le Alpi Carniche e Giulie costituiscono un robusto presidio, uno scudo naturale che scherma le vigne dai venti del nord. Anche le acque del Mar Adriatico fanno la loro parte, mitigando le temperature.
Non è quindi un caso che l’area dei Colli Orientali in Friuli Venezia Giulia venisse considerata ottimale per la produzione vinicola già ai tempi degli antichi Romani.
Un luogo ameno. Uno spazio bucolico. Un fazzoletto di terra in cui il mare incontra la montagna, e in cui il profitto economico si concilia con un sacro e reverenziale rispetto per i prodigi della natura.